Nel corso del 2015 il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,8%. E’ una buona notizia (e anche se cresciamo meno degli altri, è sempre meglio arrancare che retrocedere). Sempre nel corso del 2015, i nuovi posti di lavoro sono stati poco più di 400 mila. E’ un’ottima notizia (certo, se ogni posto di lavoro ci dovesse costare 25 mila euro, la piena occupazione non potremmo mai permettercela…). Ancora, nello scorso anno, il disavanzo pubblico si è attestato sul 2,6% del prodotto, tre o quattro decimi di punto in meno del triennio precedente. E’ una terza buona notizia (e pazienza se altri hanno fatto meglio di noi, accontentiamoci della tendenza). Infine, nel 2015, l’avanzo primario (il disavanzo al netto del servizio del debito) è stato pari all’1,5% del prodotto (rispetto al 2,2% del 2012 ed all’1,9% del 2013). Questa, purtroppo, è una pessima notizia. Non solo per il passato ma, sfortunatamente, anche per il futuro. Basta mettere i numeri del 2015 in fila, infatti, per capire che se l’ambiente macroeconomico (le scelte di politica monetaria dell’Eurozona, il tasso di cambio dell’euro, il prezzo del petrolio) ha dato una discreta mano, se le riforme strutturali (in particolare nel mercato del lavoro) hanno fatto – per quel che potevano – la loro parte, la politica di bilancio non solo ha perso una grande occasione ma ha messo una discreta ipoteca sul futuro prossimo venturo. Non a caso il Superindice IBL, nel misurare la distanza fra la condizione macroeconomica dell’Italia e quella media dell’Eurozona, non segnala miglioramenti degni di nota.
La congiuntura economica del 2016 si annuncia non facile. Certo meno di quanto molti immaginassero solo pochi mesi fa. Se i minori oneri per gli interessi sul debito pubblico si fossero tradotti, euro per euro, in un minor disavanzo registreremmo oggi un indebitamento netto non molto lontano dal 2,0% e avremmo lo spazio per contrastare un andamento ciclico che potrebbe essere tutt’altro che semplice e per molti, e diversi, motivi. Abbiamo scelto, invece, di fare “gli splendidi” quando non ce n’era bisogno e ora corriamo il rischio di passare i prossimi mesi alla ricerca di una decina di miliardi per far quadrare i conti del 2016 (non mancando di contribuire al rallentamento dell’attività economica). Un viatico non proprio positivo per una legge di stabilità che per il 2017 si annuncia piuttosto complicata. La politica economica è cosa, purtroppo, più seria di un dibattito televisivo su flessibilità e austerità.