Il disegno di legge di bilancio in discussione in Parlamento non è una legge di lacrime e sangue dal punto di vista della pressione fiscale ma, insieme al decreto fiscale, rischia di essere un provvedimento di lacrime e sangue dal punto di vista delle procedure fiscali e tributarie. Dell’inasprimento di pena per i reati tributari si è molto detto. Meno parole sono state spese sull’obbligo di committenti e subcommittenti di fare da sostituto d’imposta per i lavoratori delle imprese appaltatrici, fungendo quindi da ispettori al posto di uno Stato che, evidentemente, sa mandare in galera ma non è in grado di fare i necessari controlli.
Ancor più sotto silenzio è passata una norma, contenuta nel disegno di bilancio, che consente dal prossimo anno ai comuni e alle regioni di inviare ai contribuenti accertamenti immediatamente esecutivi per le loro imposte (tra cui bollo auto, Imu e Tari). Sembra un modo per accelerare e semplificare la riscossione, ma la semplicità non è sempre sinonimo di chiarezza e equità, specie in rapporti conflittuali e asimmetrici come quello tra il contribuente e il beneficiario. In sostanza, con l’avviso di accertamento esecutivo, gli enti territoriali potranno pretendere il pagamento immediato (entro 60 giorni) delle somme pretese senza che sia verificato che siano davvero dovute. Spetterà al contribuente l’onere di fare ricorso e chiedere la sospensione alla Commissione tributaria (con ogni conseguente rischio di insuccesso se non riuscirà a dimostrare che dalla riscossione gli potrà derivare un danno “grave e irreparabile” – con importi relativamente contenuti è pressoché impossibile – e con il rischio di una condanna alle spese in caso di rigetto della domanda cautelare). Chi non paga subito o non chiede la sospensione, potrà subire ipoteche, pignoramenti, fermo auto saltando il passaggio dell’iscrizione a ruolo.
La procedura accelerata ricalca quella già in vigore da qualche anno per i principali tributi erariali, che consente l’esecuzione forzata direttamente a seguito dell’avviso di accertamento. Si può pensare dunque che il legislatore si sia limitato ad estendere un procedimento già consolidato. Tuttavia, al di là dell’iniquità intrinseca dell’avviso di accertamento esecutivo, occorre notare che, secondo i dati del MEF, in primo grado la percentuale di cause favorevoli al contribuente per tributi locali è molto più alta che nel caso di tributi erariali. Negli ultimi cinque anni, gli enti territoriali hanno perso in CTP nel 35% dei casi, arrotondando per difetto e al netto dei giudizi intermedi e delle procedure di conciliazione. Ciò significa che le pretese creditorie delle regioni e dei comuni, che oggi si rischia di dover onorare prima che i debiti siano davvero accertati, più di una volta su tre sono infondate. Non è allora una questione di semplificazione né di vessazione fiscale. Ma, ancor prima, di equità e di giustizia.
13 novembre 2019