Il protrarsi della siccità sul nostro paese rende sempre più vicino lo spettro del razionamento. Forse ci sono davvero poche alternative, nel breve termine: ma nel lungo termine cosa possiamo fare per evitare di trovarci di nuovo in questa situazione, o comunque minimizzarne la probabilità?
In generale, l’Italia non è un paese sprovvisto di risorse idriche, sebbene vi siano dei territori che soffrono in modo più grave di questo problema. È paradossalmente proprio a causa dell’abbondanza di acqua se ci troviamo così impreparati di fronte alle crisi. Il fatto che la risorsa sia disponibile, se non in casi eccezionali, ci ha consentito di convivere con una governance del settore idrico molto inefficace. E ciò a dispetto del forte valore economico e politico dell’acqua, che non a caso è stata spesso al centro del discorso pubblico, sia per le implicazioni dirette della sua gestione, sia come simbolo dei cosiddetti beni comuni. La crisi in atto ci costringe però a prendere la questione sul serio, anche perché – a causa dei cambiamenti del clima – periodi analoghi si presenteranno in futuro più frequentemente di quanto accadeva nel passato.
Per mettere a fuoco la questione bisogna considerare due fatti. Primo: gran parte dei consumi idrici nel nostro paese riguardano il settore agricolo, che ha accesso all’acqua a costi estremamente bassi. Questo ha anche consentito specializzazioni produttive in colture molto bisognose di acqua per il loro sviluppo e, quindi, ha determinato un livello di domanda assai elevato. Secondo: nell’attuale quadro regolatorio, l’acqua non ha alcun valore. È gratis. Ciò che paghiamo attraverso le bollette, e neppure del tutto, sono i costi operativi e di investimento delle infrastrutture che ci rendono possibile avere l’acqua dove vogliamo, quando vogliamo, e della qualità (potabile o irrigua) desiderata.
Ecco: prendere sul serio la siccità vuol dire anzitutto prendere sul serio l’esigenza di attrezzare le nostre infrastrutture a resistere meglio a periodi prolungati senza pioggia (per dirla con un termine alla moda: serve più resilienza). Ma ciò richiede capitali e i capitali possono affluire al settore solo se accettiamo che il sistema idrico ormai è una realtà industriale, che ha bisogno di competenze, risorse e organizzazione adeguate. Ciò è incompatibile con la nostalgia delle vecchie gestioni locali; spinge invece sempre più nella direzione di un approccio, se non proprio privato perché ciò sembra essere un tabù, quanto meno privatistico. Ma neppure questo è sufficiente. Le infrastrutture possono ridurre gli impatti degli eventi estremi, ma c’è sempre la possibilità di un evento ancora più estremo: in tal caso, nella disciplina vigente non esiste alcuno strumento per trasmettere ai consumatori l’esigenza di ridurre la domanda, se non gli obblighi imposti dall’alto. Nel breve, infatti, è dalle azioni individuali che può venire quel sollievo che, altrimenti, può essere soltanto imposto con decisioni amministrative. Fuori dai giri di parole, quello che manca in Italia è un sistema dei prezzi che dia conto della scarsità crescente dell’acqua e spinga a utilizzarla negli usi con maggiore valore sociale.
L’acqua è una risorsa scarsa. Può essere allocata solo in due modi: secondo l’arbitrio del sovrano o secondo la logica del mercato. Se si sceglie la prima strada, i risultati sono questi.
5 luglio 2022