«Il peggior uso della statistica è quando la si dedica a fini retorici o propagandistici, non per sapere, bensì per far credere ai semplicioni». Era una convinzione di Sergio Ricossa economista liberale che per sua ammissione voleva andare oltre il liberalismo del suo maestro Luigi Einaudi scomparso ieri a 88 anni, nella sua casa torinese, dopo una lunga malattia.
Da sempre legato a Torino, dove è nato, si è laureato nel 1949 e ha svolto la sua intera carriera accademica, come professore di politica economica e finanziaria, Ricossa ha pubblicato per anni su «Il Giornale» della direzione Montanelli e su «La Stampa» articoli sferzanti sulla gestione pubblica in una tesi rielaborata in un volume dal titolo programmatico: Come si manda in rovina un Paese. Cinquant’anni di maleconomia (Rizzoli, 1995; Rubbettino, 2012). Dallo scritto ai fatti, è stato uno dei protagonisti, con Antonio Martino e Gianni Marongiu, della «marcia contro il Fisco» del 1987. Quello contro l’eccessiva imposizione tributaria è stato un suo cavallo di battaglia espresso anche nel pamphlet Manuale di sopravvivenza degli italiani onesti (Rizzoli, 1997; Rubbettino zon). La sua idea era che il Fisco è «due volte peccatore: quando fa pagare tributi ingiusti e quando concede sanatorie, amnistie e condoni agli evasori».
Vicepresidente della Mont Pelerin Society, Accademico dei Lincei, presidente onorario dell’Istituto Bruno Leoni, accanto a rigorosi testi scientifici di politica economica, dove ha criticato in particolare il perfettismo keynesiano e la teoria del valore di Pietro Sraffa, non rinunciava a scritti provocatori, su temi di attualità, che ruotavano comunque intorno al principio fondamentale del primato dell’economia sulla politica, dalla quale si è sempre tenuto distante. Secondo Ricossa «la libertà economica è gran parte della libertà tout court», ricordava in un’intervista, sottolineando come «difficilmente chi non si occupa della libertà economica potrà occuparsi delle altre libertà dell’uomo». La sua verve critica lo ha visto denunciare «i pericoli della solidarietà» e colpire anche i suoi stessi colleghi. Con Maledetti economisti. Le idiozie di una scienza inesistente (Rizzoli, 1996; Rubbettino, 2010) criticava le distorsioni dell’economia ideologica. Quella che deforma la realtà ad altri usi, atteggiamento intollerabile per un autentico liberale.
Da Corriere della sera, 4 marzo 2016