Alcune domande frequenti sugli orari di apertura dei negozi

È vero che solo in Italia i negozi devono stare aperti la domenica?

14 Settembre 2018

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione Teoria e scienze sociali

L’Italia è l’unico paese europeo ad aver pienamente liberalizzato gli orari e i giorni di apertura degli esercizi commerciali?
No, in realtà la maggioranza degli Stati membri dell’Ue (UK incluso) hanno eliminato ogni forma di restrizione (16 su 28). Oltre all’Italia, le nazioni che hanno lasciato alla libera determinazione degli esercenti la scelta dei periodi di apertura sono: Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovenia, Svezia, Ungheria.

Altri paesi prevedono limiti piuttosto contenuti: per esempio in Danimarca, durante le maggiori festività, i negozi devono chiudere entro le 15,00; in Polonia gli esercenti sono liberi ma devono osservare almeno quindici giorni di chiusura l’anno.

In Francia e Germania la regolamentazione è invece relativamente onerosa, anche se è stata fatta oggetto di significativi interventi di liberalizzazione a partire dagli anni Novanta. In Francia è previsto il riposo domenicale dei dipendenti, ma i negozi possono rimanere aperti se vengono presidiati dai proprietari. In Germania è invece obbligatoria la chiusura domenicale, con la significativa esclusione di alcune tipologie merceologiche (panetterie, fiorai, giornalai, negozi di casalinghi, musei, stazioni di servizio, stazioni ferroviarie, aeroporti e luoghi di pellegrinaggio).
Fonte.

La liberalizzazione degli orari di apertura ha effetti sull’occupazione?
Sì, tutte le indagini empiriche trovano un impatto occupazionale positivo e significativo. La ragione sta nel fatto che la forza lavoro necessaria a presidiare un esercizio commerciale dipende essenzialmente dalle ore di apertura, e solo in seconda battuta dai consumi. L’incremento occupazionale connesso alla liberalizzazione delle aperture domenicali può essere stimato nell’ordine del 7-9 per cento.
Fonte: qui e qui.

La liberalizzazione degli orari ha effetti sui consumi?
Le più recenti indagini empiriche hanno trovato un aumento dei consumi ma non in tutte le categorie merceologiche. Tuttavia, la possibilità per i consumatori di scegliere quando fare la spesa genera un duplice beneficio. In primo luogo, consente a questi ultimi di scegliere come disporre del proprio tempo: due italiani su tre fanno la spesa di domenica. Questa possibilità è particolarmente importante per le famiglie dove entrambi i partner lavorano e, all’opposto, per i genitori single. In un paese dove il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è relativamente basso, l’opportunità di conciliare i carichi lavorativi e famigliari appare particolarmente importante.
Fonte: qui e qui.

La liberalizzazione penalizza i piccoli esercenti?
In parte sì: è chiaro che per i piccoli esercenti e più difficile organizzare le aperture festive, perché i maggiori costi fissi si spalmano su volumi di vendite ridotti. Tuttavia le difficolta dei piccoli negozi dipendono da una molteplicità di fattori, inclusa l’arretratezza della nostra rete di distribuzione commerciale. Molti “negozietti” hanno tuttavia approfittato della maggiore libertà per intercettare meglio le esigenze della clientela, stabilendo le aperture in modo da facilitare gli acquirenti o specializzandosi in prodotti di nicchia che difficilmente trovano spazio negli esercizi generalisti.
Fonte.

La liberalizzazione peggiora le condizioni dei lavoratori, sino a sfruttarli?
Le condizioni e i diritti dei lavoratori sono disciplinati dalla legge e dalla contrattazione collettiva nazionale. Indipendentemente, dunque, dalla liberalizzazione degli orari o dalla presenza di limiti di apertura, i lavoratori non possono lavorare oltre un certo limite orario, hanno diritto a una maggiorazione per lavori in orari non ordinari, possono, in alcuni casi, rifiutarsi di lavorare nei giorni festivi, hanno diritto a sospendere il lavoro su base giornaliera, settimanale, annua.

In particolare, la legge e la contrattazione nazionale prescrivono:

  • limite orario massimo settimanale
  • limite orario massimo giornaliero
  • limiti massimi alla flessibilità d’orario
  • limite orario massimo di lavoro straordinario (giornaliero e settimanale)
  • maggiorazioni per lavoro in orari notturni, festivi, e festivi notturni
  • maggiorazioni per lavoro straordinario
  • pause giornaliere
  • riposo giornaliero
  • riposo settimanale
  • ferie annuali
  • diritto per particolari categorie di rifiutare di prestare il proprio lavoro nei giorni festivi (genitori di bambini di età fino a tre anni o che assistono disabili non autosufficienti)

Fonte CCNL – Fonte legislativa

La disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali spetta allo Stato, alle Regioni o ai Comuni?
Gli orari di apertura rientrano nella materia della concorrenza, che è una competenza esclusiva e trasversale dello Stato. Le regioni hanno competenza in materia di commercio, ma la Corte costituzionale è costante nel ritenere la questione degli orari attinente alla concorrenza, e quindi di competenza statale. Ciò non esclude che la legge statale possa prevedere che siano le Regioni a dare attuazione alla disciplina statale recante gli obblighi di apertura.

Si possono estendere gli obblighi di chiusura e i limiti di orario a internet?
Sicuramente no, in generale. Si può, in ipotesi, oscurare i siti di commercio italiano, ma è ipotesi talebana. L’ipotesi, circolata al Mise, di estendere gli obblighi all’on line impedendo che l’acquisto sia processato non vuol dire estendere i limiti orari. Chi compra, infatti, finalizza l’acquisto con il click che fa partire l’ordine. Se poi i magazzini lo processano il giorno feriale successivo, l’acquisto è comunque avvenuto.

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