Il 24 aprile i dipendenti di Alitalia hanno votato no al referendum sul preaccordo per il salvataggio della compagnia aerea. Con il 67 per cento dei voti contrari è stato così rifiutato il verbale firmato, dopo lunghe trattative, il 14 aprile da azienda e sindacati. L’accordo, mediato dei ministri del Lavoro e dello Sviluppo economico, avrebbe sbloccato un aumento di capitale da circa 2 miliardi. I soldi per la nuova liquidità sarebbero stati versati da Intesa Sanpaolo e Unicredit, banche al contempo azioniste e creditrici.
Come spiega a tempi.it Andrea Giuricin, membro dell’Istituto Bruno Leoni, il piano di rilancio aziendale per gli anni 2017-2021 prevedeva una diminuzione di circa l’8 per cento dei salari, un aumento della produttività, una riduzione del personale mediante cassa integrazione straordinaria e non rinnovo dei contratti a termine. «Rispetto ai 2 mila esuberi iniziali previsti dall’azienda, questo nuovo preaccordo era molto più favorevole ai lavoratori», commenta.
Come ha più volte ripetuto Giuricin, «da un punto di vista dei tagli, questo piano aveva senso, mentre suscita alcuni dubbi per quanto riguarda i ricavi: si prevedeva un aumento del 30 per cento in un periodo in cui il mercato aereo ha margini sempre più stretti, soprattutto dalla metà del 2016». Giuricin riconosce però che questo era «il primo piano nella storia della società a introdurre delle risorse di ricapitalizzazione consistenti. Non si era mai fatto prima, nemmeno con il piano Fenice del 2008 o con l’arrivo della compagnia emiratina Etihad (che oggi detiene il 49 per cento delle azioni di Alitalia, ndr)».
Purtroppo non è il mercato ad andare male, ma Alitalia: «Non è mai stata in grado di posizionarsi in maniera strategica e vantaggiosa nel suo mercato», continua: «rimane una compagnia troppo costosa rispetto alle Low cost e al tempo stesso è troppo piccola per poter competere con i grandi attori dei voli ad ampio raggio, come Air France-KLM o Lufthansa». Proprio per questo «per Alitalia non esiste l’opzione di stare da sola», ma in base alle leggi europee, Ethiad non può detenere più del 49 per cento della società. «Alitalia rimane un piccolissimo operatore attivo solo nel mercato italiano, mentre intanto si stanno creando grandi gruppi europei».
La conseguenza del rifiuto del preaccordo sarà il commissariamento. «Ci saranno tante pressioni perché lo Stato intervenga, ma secondo me sarebbe un enorme spreco di risorse: per elaborare un serio piano di rilancio servono miliardi di euro, che lo Stato non ha e non userebbe con una compagnia che perde un milione, un milione e mezzo di euro al giorno. Abbiamo già visto in passato quanti soldi pubblici sono stati buttati per Alitalia. Inoltre, tutte le compagnie aeree sono private e quotate in Borsa, non ne esistono più di pubbliche, e molte volte gli azionisti sono grandi fondi internazionali».
Da tempi.it, Aprile 26, 2017