Il nuovo nome della compagnia di bandiera – un acronimo che sta per Italia Trasporti Aerei – allude a un nuovo inizio, ma in realtà nasconde una storia vecchia, vecchissima. Per questo appaiono abbastanza surreali le dichiarazioni con cui i Ministri dell’Economia e dei Trasporti, Roberto Gualtieri e Paola De Micheli, hanno salutato la nascita della newco. “Sarà ITAliana – ha scritto l’una venerdì scorso – perché dovrà portare l’Italia nel mondo. Oggi ho firmato il Decreto della nuova compagnia aerea di bandiera. Un’operazione industriale al servizio del Paese, che valorizzerà competenze e professionalità italiane, sosterrà la competitività delle imprese e il turismo”. “Firmato il decreto per la costituzione della newco per il #trasportoaereo – ha ribadito l’altro – Un primo passo per dar vita ad un vettore di qualità, capace di competere sul mercato internazionale. Con un management di primo livello, poniamo le basi per il rilancio del trasporto aereo italiano”.
Dietro queste parole, ci sono un dato formale e uno sostanziale. Il dato formale: il Governo ha cercato di creare una “discontinuità” tra la vecchia e la nuova Alitalia, per evitare che – con la probabile condanna da parte della Commissione Ue a ricuperare gli aiuti di Stato illeciti – la sua avventura finisse prima di cominciare. Infatti, in tal caso, l’esecutivo dovrebbe chiedere indietro i denari erogati negli anni (1,3 miliardi di euro più interessi, a partire dal 2017). L’esecutivo spera allora di potersi rivalere (formalmente) sulla badco, ben sapendo che questa non sarà in grado di restituire un centesimo e che alla fine tutto ricadrà sulle spalle del consumatore elettrico (infatti la bolletta elettrica degli italiani è stata identificata come garanzia ultima per i prestiti). Ma si tratta di un gioco delle tre carte nel quale difficilmente la Commissione potrà cadere, a meno che non voglia farlo per decisione politica – cosa che darebbe l’ennesimo colpo alla credibilità delle istituzioni europee.
Ma, anche al netto delle procedure in corso, c’è un problema di sostanza: la nuova Ita ha lo stesso personale, gli stessi aerei e gli stessi slot della vecchia Alitalia. Se Alitalia non è mai riuscita a chiudere un anno in attivo, nonostante l’avvicendarsi di proprietari e management diversi, è difficile che riesca a farlo adesso nella stagione del Covid. Nei primi nove mesi del 2020, la compagnia ha perso 1,8 milioni di euro al giorno; la perdita potrà forse essere leggermente ridotta scaricando un po’ di costi sulla bad company, ma difficilmente potrà cambiare di segno. E, rispetto al passato, vista la crisi generalizzata del settore, non c’è neppure l’opzione più sul tavolo l’opzione di una cessione ad altri operatori più solidi: Lufthansa e gli altri, che in passato avrebbero potuto essere interessati, hanno ben altri problemi di cui preoccuparsi, e certo non vogliono acquisire un baraccone iper-politicizzato.
Siamo facili profeti: per qualche mese o forse anno la nuova Ita potrà restare in vita grazie agli aiuti (leciti, questa volta) a favore del settore aereo per contrastare la crisi del Covid. Ma, appena torneremo alla normalità, avremo di nuovo un grande classico: il fallimento – e il salvataggio? – di Ita.
13 ottobre 2020