I lettori abituali di questa rivista sanno bene chi è Giuliano Cazzola, per i pochi altri ricordo che è nato a Bologna nel 1941, è stato un importante dirigente sindacale, ex deputato, autore di saggi e di articoli, anche su Mondoperaio. Di recente ha pubblicato L’altro 1992: quando l’Italia scoprì le riforme (IBL Libri) dove ripercorre puntigliosamente quanto realizzato dal governo presieduto da Giuliano Amato, in carica da giugno 1992 ad aprile 1993.
Cazzola diede il suo contributo alle iniziative di quel governo e il suo libro mette in luce avvenimenti importanti ma poco considerati dalla pubblicistica: in una congiuntura drammatica per le sorti del nostro Paese, l’azione governativa evitò la bancarotta dei conti pubblici. Nel 1992 erano fuori controllo, la nostra moneta era sotto un attacco speculativo che la Banca d’Italia non riusciva a contenere: un marco tedesco era arrivato a valere mille lire italiane, i capitali nostrani in fuga. Le cause del disastro, almeno le principali, erano chiare a tutti: il costo del sistema pensionistico era esorbitante, lo stesso dicasi per la spesa sanitaria, troppe aziende pubbliche operavano in perdita.
A complicare la vicenda, già di per sé grave, si aggiungevano l’urgenza di rivedere i nostri conti per partecipare al processo comunitario, la mafia di Riina che operava con brutalità e sembrava inarrestabile, il montare del fenomeno giudiziario di tangentopoli. Nel febbraio 1992 era stato arrestato Mario Chiesa e di lì fu un vortice quotidiano di arresti di politici, imprenditori, esponenti delle grandi imprese; furono eventi drammatici per le ripercussioni sul piano politico generale. Fu un dramma anche per tanti inquisiti: a giugno si suicidò Renato Amorese ex segretario PSI di Lodi, a settembre il deputato socialista Sergio Moroni. La lista dei suicidi avrà il suo apice un anno dopo, nel luglio 1993, con quelli di Gabriele Cagliari e Raul Gardini.
Sul versante criminalità mafiosa: il giudice Giovanni Falcone fu assassinato in maggio 1992 e il giudice Paolo Borsellino due mesi dopo. In quella situazione il governo del Paese fu affidato a Giuliano Amato che nel suo discorso sulla fiducia, il 30 giugno 1992, presentò un piano di riforme per fare fronte alla crisi mettendo in guardia che in caso contrario: “c’è il rischio di diventare un’appendice dell’Europa, una Disneyland al suo servizio”. Ottenuta la fiducia, il primo e immediato atto fu una manovra di trentamila miliardi di lire (15,5 milioni di euro) per ridurre il deficit di bilancio e accompagnare la ratifica del trattato di Maastricht.
I provvedimenti comprendevano, tra le altre cose, la revisione della scala mobile sulle pensioni, ovvero l’abolizione dell’aggancio delle pensioni all’andamento delle retribuzioni dei lavoratori attivi; l’età pensionabile a 65 anni; il riordino degli enti pubblici con il licenziamento di tanti dirigenti di stato riducendo a soli tre membri i componenti dei cda; la liquidazione dell’ente pubblico Efim che aveva un disavanzo superiore all’ammontare della manovra del governo; l’abolizione della scala mobile, il meccanismo di indicizzazione automatica delle retribuzioni; il blocco per un anno della contrattazione aziendale e per fare cassa fu deciso persino un prelievo straordinario del 6 per mille dai depositi bancari, in sostanza da tutti i conti correnti.
Lacrime e sangue ma inefficaci, almeno non sufficienti: la speculazione finanziaria non ridusse i suoi attacchi alla nostra debole moneta e la Banca d’Italia non riusciva a difenderla pur dando fondo alle sue riserve. Conseguentemente, il 17 settembre 1992, il governo presentò un piano di tagli di spesa di novantamila miliardi di lire (46,5 milioni di euro). In pochi mesi le due manovre avevano raggiunto la cifra complessiva di centoventimila miliardi di lire (62 milioni di euro).
Un punto centrale del nuovo intervento governativo fu ancora il sistema pensionistico e i suoi costi fuori controllo, la durata della vita si era allungata e non era possibile consentire a tanti di andare in pensione a seguito di calcoli contributivi di privilegio. Fu predisposto il congelamento della perequazione automatica delle pensioni al costo della vita, il blocco del pensionamento anticipato per 18 mesi e l’età pensionabile a 65 anni. Furono anche decretati l’esclusione da alcuni servizi dell’assistenza sanitaria dei detentori di reddito superiore a quaranta milioni di lire annue (circa ventimila euro); l’eliminazione del recupero del fiscal drag, il rimborso dell’inasprimento del carico tributario dovuto all’inflazione; l’introduzione di una minimum tax per combattere l’evasione fiscale nel settore dei lavoratori autonomi.
Far approvare tali cambiamenti fu una battaglia durissima, il governo dovette modificare alcune sue proposte, a titolo di esempio l’età pensionabile delle donne fu ridotta a 60 anni, ma la manovra passò. La lira si riprese, la bancarotta fu evitata ma il governo perse il suo consenso quando provò anche a sanare la vicenda tangentopoli predisponendo un decreto che depenalizzava ogni pregresso finanziamento illecito ai partiti; di fronte all’opposizione della magistratura, particolarmente del pool dei giudici di Milano, il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro non firmò il decreto e Amato si presentò alle Camere per un voto di fiducia consapevole che quello sarebbe stato l’ultimo atto del suo governo.
Nel suo intervento, il 21 aprile 1993, Amato difese il suo operato e sottolineò l’importanza di riforme che rispondevano a nuove istanze, a una diversa domanda politica; nel Paese era maturato: “il ripudio del partito parificato agli organi pubblici, un cambiamento di regime che fa morire dopo 70 anni quel modello di partito stato che fu introdotto in Italia dal fascismo e che la repubblica aveva finito per ereditare limitandosi a trasformare il singolare in plurale.” Il giorno dopo, nel discorso sulle dimissioni del governo precisò: “E’ un dato di fatto che il regime dei partiti che acquisiscono consenso di massa attraverso l’uso dell’istituzione pubblica nasce in Italia con il fascismo e ora viene meno … viene meno il regime economico fondato sull’impresa pubblica che era nato negli anni Trenta.”
Cazzola ha ripercorso gli atti di quel governo che in meno di un anno evitò il disastro finanziario e vi riuscì con il concorso di un Parlamento sotto attacco quotidiano dei media, ormai delegittimato agli occhi dei più; furono interventi in aperta rottura con il consolidato quadro politico ed economico nazionale ma salvaguardando il processo istituzionale. Rappresentò una svolta che ebbe ripercussioni sulle vicende successive del Paese: tante riforme proposte, tentate, attuate da governi che seguirono hanno preso le mosse dalla strategia messa in atto da Amato. Il libro di Cazzola ha il merito di raccontare quegli eventi dimenticati, i risultati ottenuti, l’esito finale che ricorda un sacrificio rituale.
da Mondoperaio, maggio 2023