La pace si fa in due, e anche il Nobel si vince spesso in coppia. Se il presidente colombiano Juan Manuel Santos l’ha ricevuto da solo, senza la controparte della guerriglia, è perché «il Comitato norvegese ha avuto l’intelligenza di capire che assegnarlo anche alle Farc avrebbe impedito ogni possibilità di pace. Per i colombiani che hanno votato no o che non hanno votato al referendum sarebbe stata una provocazione: la comunità internazionale ci impone un accordo che abbiamo rifiutato». La riflessione a Oslo deve essere stata allora la seguente, ragiona Alvaro Vargas Llosa: «Il clima è favorevole perché passi un’intesa con qualche modifica; dare il Nobel a Santos significa concedere al processo di pace l’ultima chance di successo, spingere il negoziato nel tratto finale».
Politologo, attento osservatore delle vicende latinoamericane (con esperienze dirette in Perù), editorialista del Washington Post, liberale come il padre, il Nobel per la Letteratura Mario, Alvaro Vargas Llosa è di passaggio in Italia per intervenire al «Seminario Mises» dell’Istituto Bruno Leoni. Santos lo conosce personalmente, ne ha seguito il percorso, da durissimo e controverso ministro della Difesa a presidente colomba. Inciampato, però, nel referendum di domenica, che a sorpresa ha bocciato negoziato e accordo.
Che cosa è andato storto? «Bisogna considerare lo scetticismo dell’elettorato nei confronti della classe politica; la campagna per il no dell’ex presidente Alvaro Uribe; e credo anche che Santos abbia sbagliato a dare troppa visibilità a due attori del negoziato, Cuba e Venezuela, sottovalutando la forte preoccupazione dei colombiani che un accordo con le Farc trasformate in partito politico possa aprire la strada al castro-chavismo a Bogotà».
Cosa gli suggerirebbe di fare adesso per salvare la pace? «Gli direi innanzi tutto di non cadere nella tentazione di imporre l’accordo approfittando della maggioranza al Congresso. Ma di negoziare modifiche su due punti: l’amnistia, che per i responsabili della Farc non può diventare impunità totale; e la partecipazione degli ex guerriglieri alla politica che nell’accordo veniva eccessivamente facilitata».
Da Corriere della sera, 8 ottobre 2016