Cosa vuol dire che l’Ispettorato del lavoro ha individuato, in occasione di una verifica negli stabilimenti di Amazon, più di 1300 contratti di lavoro interinale da dover stabilizzare, per aver superato i limiti consentiti dalla legge?
Una prima risposta, immediata, si basa sul possibile conflitto tra datore di lavoro e impiegato. Conflitto che fa parte, quasi sempre, della narrazione del lavoro, soprattutto se da una parte c’è la multinazionale del commercio on line, con tutta la retorica contro le multinazionali che si trascina dietro, e dall’altra parte un numero considerevole di lavoratori non specializzati.
In questo senso, si potrebbe sostenere, compiacendosene, che l’ispezione ha confermato che esistono delle leggi e dei modi per farle rispettare che non consentono facili scappatoie, nemmeno alle imprese digitali che molti paventano come sfuggenti a ogni regola.
Ma forse varrebbe la pena chiedersi se un sistema legislativo che punisca il ricorso a forme flessibili di impiego sia il modo migliore per tutelare i lavoratori.
C’è da immaginare che Amazon ricorra frequentemente e in maniera consistente ai contratti interinali riflettendo la forte stagionalità dell’e-commerce, che tuttavia la legislazione vigente non riconosce. Ne sarebbe prova il fatto che molti dei lavoratori interessati pare siano stati già assunti nel frattempo e che la vicenda riguarderebbe meno di un terzo degli oltre 1300 contratti.
Ad ogni modo, se i datori di lavoro si trovano davanti a sé l’alternativa tra assumere a tempo indeterminato o non assumere affatto, anche di fronte a esigenze specifiche e/o periodiche, è probabile che ovvieranno in altro modo: nel caso di imprese più piccole e meno sotto i riflettori, ricorrendo per esempio a lavoro in nero e favorendo quindi quell’evasione la cui lotta è la priorità conclamata di ogni governo, o, nel caso di lavori manuali e non specializzati come quello di magazziniere, ricorrendo all’automazione.
Non c’è governo, non c’è ministro, che non faccia suo un catalogo di buone intenzioni. Ma le conseguenze di questa o quella politica pubblica non sono solo quelle attese. Il buon governante, il buon legislatore, dovrebbe pensarci. Sappiamo, per esempio, che un salario minimo, se fissato sopra il livello di mercato, può tradursi in meno posti di lavoro. Non troppo diversamente, ogni rigida limitazione della libertà degli operatori del mercato può significare minori opportunità di accesso a quel mercato, con conseguente danno, prima che per le multinazionali, per i loro lavoratori o aspiranti tali. Nell’immediato, il politico proclama che Amazon dovrà assumere centinaia di lavoratori, e incassa gli applausi. Nel medio termine, a rimanere fuori dal mercato del lavoro saranno proprio i lavoratori meno qualificati e più facilmente sostituibili. Ma ci saranno state altre elezioni, ci sarà un altro governo, ci saranno altri ministri e, inevitabilmente, altri proclami.
12 giugno 2018