Ambiente o sviluppo? Il dilemma di Francesco

È questo il punto centrale delle politiche del clima: se e in quale misura porre degli ostacoli alla crescita dei Paesi poveri al fine di ridurre le emissioni

19 Giugno 2015

Il Fatto Quotidiano

Francesco Ramella

Research fellow, IBL e docente di Trasporti, Università di Torino

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Ci sono discussioni, su questioni relative all`ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito a un dibattito onesto e trasparente”, scrive Papa Francesco nell`Enciclica “Laudato Si” presentata ieri.

Proviamo a riflettere su questo secondo aspetto, con particolare riferimento al tema dei cambiamenti climatici. Si legge che il “riscaldamento [è stato] causato dall`enorme consumo di alcuni Paesi ricchi”. Se guardiamo al periodo che va dall`inizio della rivoluzione industriale fino ai primi decenni dopo la Seconda guerra mondiale, non vi è dubbio che la maggior parte delle emissioni fosse attribuibile a un novero limitato di Paesi. Negli ultimi quarant`anni si è però assistito a una radicale evoluzione di tale quadro: se nel 1971 le tre aree più ricche del Pianeta – America del Nord, Europa occidentale e Giappone – emettevano circa il 60% della anidride carbonica, negli anni seguenti si è registrata una progressiva riduzione della loro quota che nel 2011 si è attestata a meno di un terzo del totale.

Pressoché l`intero aumento delle emissioni, che ha conosciuto un`accelerazione negli ultimi due decenni, è quindi da ricondursi allo sviluppo dei Paesi che partivano da livelli di reddito molto bassi, sviluppo che ha determinato, secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, una riduzione della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà assoluta dal 52% del 1980 al 21% del 2010. Per citare ancora l`Enciclica: “La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l`essere umano”.

Molto è stato fatto, ma certo non abbastanza. Quindi, come scrive Papa Francesco, ancora oggi “per i Paesi poveri le priorità devono essere lo sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti”. Per questo: “In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie”. È questo il punto centrale delle politiche del clima: se e in quale misura porre degli ostacoli alla crescita dei Paesi poveri al fine di ridurre le emissioni. Il contributo di quelli “ricchi” non potrà essere risolutivo: anche una radicale riduzione della quantità di gas a effetto serra a essi riconducibile non potrebbe che avere effetti limitati. Se le tre grandi aree sopra citate dimezzassero l`anidride carbonica prodotta, a livello mondiale le emissioni farebbero un salto all`indietro di soli pochi anni. L`intera Unione europea che nel 1990 rappresentava un quinto delle emissioni mondiali vedrà nel 2020 il proprio peso ridotto al 7%. Ogni anno le emissioni della sola Cina crescono di una quantità analoga a quella totale di un Paese come il Regno Unito. “Una certa decrescita in alcune parti del mondo” non avrebbe come conseguenza la possibilità di “crescere in modo sano in altre parti”, scrive il Papa. Peraltro, sia l`Europa che gli Stati Uniti nell`ultimo decennio hanno già intrapreso, seppure lungo direttrici diverse come vedremo più avanti, un percorso di contenimento delle emissioni. Tale evoluzione positiva interessa anche altri aspetti ambientali.

Negli Stati Uniti – e in molti Paesi ad alto reddito – la qualità dell`aria è radicalmente migliorata negli ultimi cinquanta anni. Oltreoceano, pur in presenza di un aumento della popolazione pari a 80 milioni di persone, la quantità di acqua consumata è diminuita rispetto al 1970, dal 1990 si è ridotto il consumo di plastica e quello di carta; il consumo pro-capite di petrolio è oggi inferiore del 25% rispetto al 1980. I problemi ambientali più gravi sono oggi correlati alla povertà, non alla ricchezza.

Da Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015
La versione integrale dell’articolo è disponibile su La Nuova Bussola Quotidiana
Twitter: @ramella_f

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