La società moderna si trova in una condizione di irreversibile e incessante mutevolezza
La modernità come frammentazione e anomia: questa è, grossomodo, l’immagine ricorrente offerta dalla gran parte degli studiosi. È chiaro, a ben vedere, come la rottura con gli ordini del passato dal forte sapore comunitario e tradizionalistico segni l’individualismo moderno. L’individuo, in altri termini, diviene soggetto agente, mentre in precedenza risultava un semplice oggetto “agito” in balia di forze superiori. Eppure, questo soggettivismo potrebbe aver comportato un nuovo tipo di chiusura: tutto diventa contingente e in costante mutamento, ma, allo stesso tempo, ciò comporta un certo grado di ermetismo degli uni rispetto agli altri. A livello individuale, ma pure tra differenti comunità.
L’approccio sistemico usato dal sociologo tedesco Niklas Luhmann (1927-1998) riprende tanto l’idea di una modernità come cambiamento radicale ed evoluzione continua, quanto, forse paradossalmente, come (ri)creazione di sistemi chiusi. Nella recente biografia intellettuale edita dall’Istituto Bruno Leoni viene enfatizzato proprio il pensiero sui generis del professore a lungo di ruolo all’Università di Bielefeld. Il focus, tuttavia, non riguarda l’intero spettro tematico coperto dallo scienziato sociale: la collana dei “classici contemporanei” in cui il volume è pubblicato mira a delineare i tratti salienti del pensiero dell’autore. In tal senso, si è scelto di considerare la politica, la morale e la religione, tralasciando, invece, il diritto, l’economia e gli altri campi toccati dal sociologo.
Da anni studioso di Luhmann, Sergio Belardinelli nota come l’autore in questione non possa certo definirsi un esponente del liberalismo. Secondo lui, non sono gli individui a costituire la cellula fondamentale del mondo umano, quanto, piuttosto, i vari sistemi sociali autopoietici – ovvero autoreferenziali – e in perenne processo di rigenerazione. Ecco, insomma, l’ambivalenza della sua sociologia. Da un lato, infatti, ogni sistema è caratterizzato dalla chiusura indifferente rispetto a ciò che gli è esterno; dall’altro, la modernità, intesa come cambiamento senza sosta, ha ormai pervaso il sociale e, in tal modo, comporta un totale e mai concluso processo di modificazione dello stesso.
L’uomo, sostiene Luhmann, «non è più il metro di misura della società», giacché esso è visto come strumento della comunicazione che si verifica entro i sistemi: sono questi ultimi, piuttosto, a costituire, nella propria vicendevole sordità, il fulcro del mondo. Un bel guaio, se si ha a cuore la dignità della persona e la sua libertà.
Eppure, proprio il fatto che il sociologo affermi che ciò che è stato in passato non è detto che sarà anche in futuro, lascia aperta la porta anche alle più imprevedibili delle possibilità. La società moderna si trova in una condizione di irreversibile e incessante mutevolezza, e su una estrema differenziazione funzionale tra i vari sistemi. Ma, nota Belardinelli, in un’intervista che Luhmann gli rilasciò nel 1992 lo studioso tedesco enfatizzò la centralità della coscienza individuale in fatto di morale. Fintanto che la coscienza personale mantiene la propria intangibilità, si potrebbe sostenere, è viva la speranza che la libertà non sia un concetto vuoto e che il soggetto individuale non risulti un quasi passivo veicolo comunicativo.
da Libero, 4 febbraio 2024