Aron oltre gli steccati, contro ogni ideologia

La parte più interessante del libro di Agostino Carrino riguarda il doveroso confronto tra il liberalismo di Aron e l'attuale


9 Agosto 2024

Avvenire

Riccardo De Benedetti

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Scrivere di Raymond Aron come fa Agostino Carrino – giurista e filosofo, collaboratore dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V di Roma – nell’agile e sintetico profilo dedicato al grande sociologo francese (Istituto Bruno Leoni, pagine 162, euro 14,00), non è facile. Difficoltà comprensibile, dal momento che figure come quelle dell’autore hanno garantito nel dopoguerra europeo una valida barriera all’egemonia marxista nel campo delle scienze sociali in genere e, in particolare, di quelle sociologiche e di filosofia politica. 

Per quanto ben presenti nei cataloghi delle più importanti case editrici italiane i lavori di Raymond Aron raramente sono usciti dalla pertinenza disciplinare, nella quale hanno svolto una funzione scientifica decisiva, per fluire nel più vasto dibattito culturale, politico e civile. Per citarne solo alcuni dei più significativi: Delle libertà. Alexis de Tocqueville e Karl Marx. Libertà formali e libertà reali; Le delusioni del progresso; Clausewitz; Scienza e coscienza della società; Libertà e uguaglianza. L’ultima lezione al Collège de France. E questa apparente relegazione nello specialismo è segno che molte delle sue tesi avrebbero messo in discussione le idee ricevute, i pregiudizi e le incrostazioni ideologiche che hanno accompagnato la cultura italiana del dopoguerra, specie nelle scienze sociali. 

Aron fu critico puntuale e per nulla ideologico del pensiero marxista – mai identificato con quello di Marx – considerato come fraintendimento pratico di quello e, quindi, molto più pernicioso in quanto destinato immediatamente a un’azione politica che, volente o nolente, metteva in discussione la libertà. 

Nato nel 1905 a Parigi, partecipa nel 1928 a diverse riviste ispirate da Alain, maestro di Simone Weil, a indirizzo vagamente pacifista e socialista. Per qualche anno soggiorna nella Germania che sta cedendo al fascino nazista, studiando Mannheim, Husserl, lo stesso Heidegger e venendo in contatto con la Scuola di Francoforte. Decisivo l’incontro con il pensiero di Max Weber e Karl Marx, del quale inizia subito la critica.

Il ritorno a Parigi lo trova nel 1938 a discutere con Walter Lippmann, influente giornalista americano, sostenitore del liberalismo classico esposto nel libro La giusta società. Da quel momento il suo impegno teorico, per quanto metodologicamente formatosi all’ombra di Max Weber e della sociologia tedesca, si dirige verso la resistenza e la confutazione delle ideologie totalitarie che si contendono l’Europa: fascismo, nazismo e comunismo. Gollista, redattore capo del giornale France Libre, dopo dolorose vicende familiari si trova nel dopoguerra a subire una certa emarginazione dovuta al suo antisovietismo. È nel 1955 che si trova comunque ad insegnare alla Sorbona e poi al Collège de France. Durante il ’68 subisce attacchi virulenti da parte di Sartre e dei suoi studenti militanti. Muore a Parigi il 17 ottobre 1983.

Ricostruire il pensiero di Aron, in un contesto di mutamenti sociali che sembrano, con il loro incalzare, annullare la stessa capacità di comprensione del presente, potrà apparire vano, ma indispensabile. Certo individuare quanto delle tesi di Aron possa essere valido oggi che non ci sono più Sartre, Merleau-Ponty e, aggiungo io, Foucault, Deleuze, Guattari, Derrida, è un problema solo se si dà a costoro uno spazio maggiore di quello che in realtà si meritano. Ma se, al contrario, le voci di quel periodo vengono portate a confrontarsi con il presente si potrà constatare cosa rimane e cosa del loro pensiero è andato irrimediabilmente perso. 

La parte più interessante del libro riguarda il doveroso confronto con il suo liberalismo e l’attuale. Questa credo sia la sfida ricostruttiva più importante, perché se oggi l’Europa attraversa una crisi che l’avvicina sempre di più alla guerra pur in assenza, apparente, di ideologie totalitarie è forse perché ad entrare in crisi è proprio quel liberalismo che Aron ha ben rappresentato nelle sue scelte politiche e, a un livello più profondo, nella sua probità intellettuale di studioso. Lo stesso liberalismo politico di Aron «si trova lontano da ogni liberalismo fondato su una concezione atomista dell’individuo».

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