Autonomia dimezzata, ma fa paura lo stesso

Se anche passasse lo schema in discussione, la Lombardia non otterrebbe nulla di simile a quello che c'è in Trentino

18 Febbraio 2019

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Qualche giorno fa sembrava che ci si stesse dirigendo verso una soluzione di compromesso tra le regioni del Nord e uno Stato centrale restio a rinunciare a risorse e competenze.

In sostanza Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna avrebbero dovuto mantenere sui loro territori le stesse risorse che ora ricevono da Roma, gestendo autonomamente varie attività. Questa soluzione, detta a “costi storici”, considera quanto costano allo Stato, per esempio, le scuole lombarde e punta a lasciare alla Regione quel denaro, insieme all’onere di finanziare i servizi.

Questo esito era stato annunciato da due esponenti leghisti al governo, ma ora tutto è di nuovo in discussione. I Cinquestelle hanno al Sud la loro base elettorale, ma stanno ormai perdendo tanti consensi. Il governo, dunque, è diviso al proprio interno e deve pure fare i conti con chi, nel Mezzogiorno, si atteggia a paladino dei più deboli e difende quelle logiche redistributive che pure hanno distrutto l’economia meridionale e costretto molti ad andarsene.

Quanti mettono in discussione l’idea che Roma tassi tutti e poi redistribuisca le risorse, privilegiando le aree più povere, sono così additati quali fautori di misure penalizzanti. Ascoltando taluni esponenti politici meridionali sembra quasi che ogni campano o molisano abbia un qualche diritto naturale a disporre di una quota delle ricchezze prodotte da un lombardo o da un veneto.

Per giunta, siamo dinanzi a una tempesta in un bicchiere. Se anche passasse lo schema in discussione, la Lombardia non otterrebbe nulla di simile a quello che c’è in Trentino, e neppure vedrebbe diminuire la penalizzazione che subisce da decenni. L’autonomia progettata – quando si farà, se si farà – sarà un’autonomia che confermerà la situazione attuale. I lombardi continueranno a subire un salasso annuo di più di 5mila euro a testa e qualcosa di simile capiterà a veneti ed emiliani.

Perché, allora, al Sud c’è tanto fermento? Molti del Pd sono sul piede di guerra perché vogliono tornare ad avere un ruolo, ma c’è anche dell’altro. La mobilitazione di numerosi intellettuali, infatti, ha una funzione “preventiva”. Si sa bene che ora non muterà nulla, ma ci si comincia a organizzare perché è probabile che questo imbroglio falsamente autonomista scontenti una larga parte del Nord.

A spaventare non è tanto il timore che si passi, tra cinque anni, dai costi storici ai costi standard, poiché quella è una soluzione impossibile, dato che esigerebbe la comparazione del costo di ogni servizio prodotto dagli enti pubblici: qualcosa che si può fare per le famose siringhe, ma non per l’elenco sterminato delle spese pubbliche.

Il vero timore è che prenda consistenza l’idea che ogni realtà territoriale sia chiamata a stare in piedi sulle proprie gambe. La paura che è che questo autonomismo farlocco, una volta riconosciuto come tale, spinga a chiedere a gran voce che ogni comunità sia responsabilizzata: che possa tassare i propri cittadini come vuole e dare loro i servizi che chiedono, e che essa è in grado di offrire loro.

È questo che si vuole evitare. Ma tutto ciò, purtroppo, ha davvero ben poco a che fare con le vertenze romane di questi giorni.

da La Provincia, 16 febbraio 2019

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