Non si possono risolvere i problemi centralizzando e uniformando (sempre e solo sulla carta)
Esiste un’area della sanità italiana la cui competenza rimane in campo al governo nazionale. Si tratta della formazione. Oltre ai programmi, rigorosamente ministeriali, anche quanto personale sanitario formare viene stabilito dal governo. Un decreto firmato congiuntamente dai Ministri della Salute e dell’Università e della Ricerca stabilisce, tra le altre cose, quante borse di specializzazione in medicina finanziare ogni anno, sulla base del ‘fabbisogno nazionale,’ calcolato seguendo principi metodologici prontamente definiti da altre leggi, che mirano a stimare la domanda futura di servizi sanitari in base a prevedibili trend demografici, cambiamenti tecnologici e flussi in entrata e in uscita del personale sanitario. Si tratta di tutto quanto ci si possa aspettare da un pianificatore centrale nazionale e razionale, che raccolga e analizzi le migliori evidenze per agire di conseguenza.
Sennonché, a partire dal 2018, a seguito di una pletora di pensionamenti – per citare un esempio, uno studio del sindacato dei medici Aanao indicava il rischio che metà del totale del personale medico andasse in pensione tra il 2018 e il 2025 – ci siamo improvvisamente resi conto di essere a corto di medici. Lo sanno bene oggi i pazienti e lo sanno benissimo anche tutti i professionisti impiegati nel nostro sistema sanitario nazionale. Questa carenza ha portato ad aumentare significativamente il numero dei posti a medicina e delle borse di specializzazione. Se nel 2018 le borse di specializzazione bandite non arrivavano a 9.000, nel 2020 erano già oltre 17.000 e nell’ultimo anno ne sono state bandite oltre 15.000.
Problema risolto? Non proprio. Fosse solo il ritardo con cui è arrivato questo aumento delle borse, si potrebbe anche essere pazienti. Ma la notizia più recente è che su 15.256 borse bandite nel 2024, un quarto, ovvero circa 4.000, non sono state assegnate. La stessa Aanao ha segnalato questi problemi, evidenziando come la questione sia più o meno grave a seconda dell’area di specializzazione, con il dato impietoso e poco sorprendente della medicina d’urgenza che riesce ad assegnare meno di un terzo delle borse bandite. Così, il razionale pianificatore nazionale è obbligato a fare i conti col fatto che una posizione al pronto soccorso di un ospedale di Milano e un al reparto di cardiologia di un ospedale di Napoli, retribuite allo stesso modo, non sono egualmente attrattive agli occhi dei giovani medici. Non basta. Oltre a questa incapacità di formare le competenze necessarie, il drastico aumento delle borse degli ultimi anni rischia di portare a un eccesso di medici, soprattutto nelle aree di specializzazione più ambite, già a partire dal 2032.
Un continuo circolo vizioso, tale per cui il governo nazionale, nel tentare di risolvere alcuni problemi, ne crea di nuovi. Quanto accade in ambito di formazione medico-sanitaria dovrebbe essere un monito a chi pensa che le difficoltà della sanità italiana siano da imputare alla gestione regionale e decentrata. Pensare di risolvere i problemi centralizzando e uniformando (sempre e solo sulla carta) sembra il classico trionfo della speranza sull’esperienza.