Le scelte fondamentali dell'esecutivo non si discostano dalle linee guida adottate dai governi di centrosinistra
11 Gennaio 2024
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
E’ passato più di un anno da quando, nell’ottobre del 2022, alla guida dell’Italia s’è insediato un governo guidato da una esponente dell’area postfascista: quel mondo che fu a lungo egemonizzato dal Movimento sociale italiano, costituitosi alla fine del 1946 per riunire i nostalgici del regime mussoliniano. Nonostante i tamburi delle opposte propagande, bisogna prendere atto di due cose: che l’Italia non sta correndo rischi autoritari, da un lato, ma neppure stiamo vivendo una significativa discontinuità rispetto al passato partitocratico, dall’altro.
Di un “pericolo fascista” s’è molto parlato sulla stampa estera, anche per calcoli interni e per ragioni d’interesse: basti pensare al caso francese. In verità non esiste un’emergenza di questo tipo ed è davvero una sterile polemica quella che vorrebbe vedere nelle nuove nomine Rai, oppure nelle proposte istituzionali, una qualche minaccia alla democrazia liberale. Si può legittimamente essere contrari a ogni forma di presidenzialismo o comunque di rafforzamento dell’esecutivo, specie di fronte a una realtà come quella italiana che semmai avrebbe bisogno di vedere riconosciuto il pieno diritto ad autogovernarsi delle realtà locali e regionali.
Lo stesso Thomas Jefferson, che nel 1787 (quanto si tenne il dibattito costituzionale a Philadelphia) era ambasciatore a Parigi, fu insoddisfatto dall’esito di quei lavori, che introdussero negli Stati Uniti un sistema presidenziale. Eppure numerose democrazie occidentali si basano proprio su quei modelli e non c’è ragione di associare tali ipotesi di mutamento costituzionale a un qualche ritorno a logiche autocratiche. I problemi veri sono altrove.
Finora, e non c’è motivo di essere ottimisti a proposito del futuro, le scelte fondamentali dell’esecutivo non si discostano dalle linee guida adottate dai governi di centrosinistra: non abbiamo una riduzione delle imposte e della spesa pubblica, non abbiamo un ridimensionamento della burocrazia, non c’è un alleggerimento della pressione normativa che intralcia la nostra vita e la voglia d’intraprendere. Il centrodestra attuale, insomma, sul piano dei programmi e dell’azione non è davvero alternativo al centrosinistra e lo si vede ogni volta che si discute di riscaldamento globale, femminicidio, evasione fiscale, affitti brevi, politiche sanitarie e via dicendo.
Questo è spiegabile con il fatto che da tempo esiste un’egemonia del progressismo che imbriglia tutti e che ha creato un “blocco” fatto di ideologia e interessi che unisce intellettuali, grandi imprese e classe politica. Di fronte a questo nuovo senso comune delle élite, gli esponenti della maggioranza attuale si dividono tra quanti sono perfettamente allineati al mainstream e quanti non hanno il coraggio e/o la consapevolezza culturali necessari a opporsi.
È sicuramente vero che vi sono alcuni temi su cui questa maggioranza alza bandiere, al fine di compiacere il proprio elettorato: come nel caso della polemica con Bruxelles. Questo non significa, però, che alle parole facciano sempre seguito i fatti. Perché alla fine, anche su tali dossier, le decisioni restano essenzialmente in linea con il recente passato.
da La Provincia, 11 gennaio 2024