Bambini al guinzaglio

Dove porta l'insensato obbligo di costringere i ragazzi a essere scortati all'uscita da scuola

30 Ottobre 2017

Il Foglio

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Lasciate che i ragazzi tornino a casa da soli. L’obbligo di affidare i minori di 14 anni a un adulto all’uscita della scuola non è solo un vincolo insensato e paternalista: è anche il retaggio di una società classista e maschilista, dove i ricchi delegano i figli alla domestica e i poveri alla moglie casalinga. Per la verità, si tratta di una questione che l’autodeterminazione sociale aveva già risolto da tempo, con l’occasionale firma di una liberatoria a inizio anno, e che è stata riaperta da una recente decisione della Cassazione su un vecchio caso. La Corte è intervenuta sulla morte di un undicenne fiorentino che, quindici anni fa, venne investito da un autobus all’esterno dell’edificio scolastico. Secondo i magistrati l’amministrazione scolastica (e per estensione il ministero dell’Istruzione) devono garantire la sorveglianza dei ragazzini fino a 14 anni, perché al di sotto di tale soglia vige una presunzione di assoluta incapacità.

Il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha giustamente ricordato che “questa è una legge e deve essere rispettata”, senza però nascondersi dietro il formalismo e riconoscendo che “se si vuole innovare l’ordinamento su questo tema, occorre farlo in Parlamento”. Il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha rapidamente colto l’assist, annunciando un emendamento per riconoscere ai genitori la facoltà di far rientrare i figli da soli. Anche se la legislatura è agli sgoccioli, sarebbe opportuno sistemare rapidamente le cose. La norma resuscitata dalla Cassazione va, infatti, proiettata sullo sfondo della nostra società.

Essa appare, anzitutto, inutile. Se il suo presupposto è l’insicurezza delle nostre città, ecco la buona notizia: le principali tipologie di crimine violento (omicidi consumati e tentati omicidi, incendi dolosi, danneggiamenti e denunce di violenze sessuali) sono in costante declino, in alcuni casi in misura assai pronunciata. I danneggiamenti, per esempio, che possono rappresentare una “proxy” ossia un indicatore della rischiosità urbana, sono calati da circa 415 mila nel 2010 a 279 mila nel 2014; le denunce di violenze sessuali, nello stesso periodo, da 4.813 a 4.257. Anche le strade sono sempre più sicure: il numero di incidenti stradali è crollato da 263 mila nel 2001 a 174 mila nel 2015.

Oltre che inutile, è una norma nociva per i ragazzi, la cui infanzia artificialmente prolunga. Il paradosso è che, mentre l’ambiente esterno si faceva via via più tranquillo, il guinzaglio per i giovani si è accorciato. Una ricerca Istc-Cnr ha mostrato che l’autonomia di spostamento dei bambini nell’andare a scuola è scesa dall’11 per cento nel 2002 al 7 per cento nel 2010, contro livelli attorno al 40 per cento in Germania e Regno Unito. Proprio nella fase dello sviluppo in cui i marmocchi diventano adolescenti nella quale quindi devono iniziare ad avvertire il senso di responsabilità e autonomia è la legge che obbliga a trattarli da bambocci.

La mamma non deve essere chioccia
Simmetricamente, l’obbligo di fare da chioccia ai ragazzini è dannoso per i genitori, perché in un paese con scarsissima attenzione alle famiglie e alle loro esigenze, si impone un obbligo inconciliabile con la normale vita professionale. Nello specifico, l’obbligo di prelevare i figli alle medie ha una vittima precisa: le donne appartenenti ai ceti medio-bassi.

E’ vero, come ha ricordato il ministro Fedeli, che le famiglie italiane possono spesso contare sull’aiuto dei nonni: ma non tutti hanno i nonni (o vivono vicino a loro) e non tutti i nonni sono in grado di prendersi un impegno quotidiano. Nel concreto, e nella maggior parte dei casi, saranno le mamme a doversi fare carico anche di quest’incombenza. L’occupazione femminile in Italia è oggi pari a al 48,8 per cento, contro il 66,8 per cento degli uomini e una media europea del 61,6 per cento. Le ragioni sono tante, in parte culturali, in parte legate alle carenze infrastrutturali (abbiamo 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini, a fronte di un target europeo di 33). Dover aspettare i bambini all’uscita dalle medie è l’ennesimo inciampo gettato tra i piedi delle donne italiane e con loro al paese intero; e specialmente a quelle meno benestanti, che non possono permettersi una tata e che già oggi hanno minore probabilità di partecipare al mondo del lavoro.

La nostra è, o dovrebbe essere, una società aperta e plurale: questo significa che alle famiglie deve essere riconosciuto il diritto di organizzarsi, alle donne di lavorare, e ai bambini di crescere.

Da Il Foglio, 28 ottobre 2017

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