15 Giugno 2023
Il Secolo XIX
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Gli scontri e le polemiche sul lutto nazionale per Silvio Berlusconi sono la migliore conferma di quanto la figura del Cavaliere sia stata centrale, sebbene divisiva, nella nostra storia recente. All’indomani delle esequie, però, si aprirà non tanto la corsa alla successione, quanto un interrogativo sul destino della sua eredità politica.
Se fosse un’azienda, Forza Italia sarebbe in dissesto: sommersa di debiti e priva dell’unico prodotto veramente attrattivo (cioè il fondatore) e dunque incapace di attrarre clienti (cioè gli elettori). I suoi lavoratori – gli eletti nelle istituzioni – oggi starebbero manifestando in Via Molise, sotto le finestre del Ministro Urso, per chiedere il salvataggio. Lo farebbero gridando che si tratta di un’impresa, come si dice, strategica. La sua strategicità sta nell’essere l’anello di congiunzione tra Giorgia Meloni e il Partito popolare europeo – di cui la premier ha terribilmente bisogno – e, contemporaneamente, l’unica sigla riconoscibile al centro dello schieramento politico (vista la guerra civile che da mesi travaglia Azione e Italia Viva).
Il futuro di Forza Italia ha molto a che fare col suo profilo, in mancanza di una parola migliore, ideologico. Nella retorica del Cav., FI doveva essere il “partito liberale di massa” che ci avrebbe regalato “un nuovo miracolo italiano”. Miracoli a parte, la distanza tra le parole e i simboli, da un lato, e l’azione di governo, dall’altro, non potrebbe essere maggiore.
Durante le sue esperienze a Palazzo Chigi, Berlusconi non ha praticato quella cura dimagrante dello Stato che era stata l’essenza delle riforme thatcheriane in Inghilterra, né quell’aggressione al suo potere regolatorio che aveva segnato i mandati di Ronald Reagan alla Casa Bianca. I governi di centrodestra hanno sì provato a tagliare le tasse, ma senza simmetricamente mettere sotto controllo la spesa: anzi, alimentandola in modo spesso irresponsabile e portando il paese sull’orlo del collasso nel 2011. Nessuna corporazione, dai balneari ai tassisti, dagli avvocati ai farmacisti, ha mai trovato chiuse le porte di Arcore. Insomma: pur promettendo il liberismo, Berlusconi ha praticato una politica fondamentalmente consociativa.
Ci sono due campi in cui, invece, Berlusconi ha impresso una svolta al paese. Uno è la politica del lavoro: la legge Biagi costituisce un elemento cruciale del processo di modernizzazione del nostro mercato del lavoro. Ma tale processo il centrodestra può intestarselo solo in parte: sia perché si inserisce in un percorso a cui anche il centrosinistra ha contribuito (dal pacchetto Treu al Jobs Act), sia perché, quando poi l’andazzo è cambiato dal Decreto Dignità in poi, le proteste dei “liberali” sono state flebili e inefficaci.
L’altro elemento distintivo è, in realtà, l’effetto delle azioni del Berlusconi imprenditore, che seppe rompere il monopolio della Rai senza tuttavia, da politico, concludere l’opera, con la privatizzazione della tv pubblica. Al Cav. vanno anche riconosciuti altri meriti, dall’abolizione della leva (che oggi i suoi alleati dicono di rimpiangere) al tentativo, per quanto tardivo e insufficiente, di proteggere le finanze pubbliche coi tagli lineari, quando però ormai il gorgo della crisi finanziaria stava risucchiando l’Italia e spalancando le porte al governo tecnico di Mario Monti.
Queste contraddizioni si sono finora rette proprio sulla figura di Berlusconi: tanto polarizzante verso l’esterno, tanto seducente per i suoi, che bastava da solo a colmare la distanza tra retorica e azione. Adesso questo incantesimo si è rotto. Senza Berlusconi, Forza Italia è una bad company che non può fallire: e come tale dovrà decidere in che modo porsi di fronte agli elettori e supplire alla mancanza di una leadership forte con una credibile elaborazione dei contenuti.
Finora FI è stata liberista a parole e democristiana nei fatti – anzi, negli ultimi tempi neppure a parole, con l’unica eccezione dei discorsi del Capo che ogni tanto ribadiva le parole d’ordine di un tempo. Non è detto che vi sia uno spazio politico per una formazione autenticamente liberale, anzi probabilmente nell’Italia del 2023 non c’è: ma se FI vuole interpretare questo ruolo, non basterà suonare la musica del liberismo, bisognerà anche ballarla.
dal Secolo XIX, 15 giugno 2023