La Bidenomics e l'inflazione? Lezioni americane da evitare

Per ora la politica del nuovo presidente ha messo il turbo ai prezzi, con effetti che in Europa e in Italia non possiamo permetterci

20 Giugno 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

Non tutte le lezioni americane vanno necessariamente seguite. Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, l’Europa ha pensato che la sua Presidenza sarebbe stata sostanzialmente un ritorno al passato: dall’ex senatore del Delaware si attendevano politiche moderate, volte a ricucire un elettorato polarizzato e, nel contempo, a riaffermare il ruolo tradizionale degli Stati Uniti nel mondo. Che è stato, dalla fondazione del GATT nel 1947 in avanti, quello del perno di un ordine internazionale impegnato a liberare gli scambi, visti come fondamento necessario (ancorché non sufficiente) di pace e stabilità. L’Europa sentiva di avere ritrovato il più importante degli alleati. Forse anche per questo, le novità messe in campo da Biden in politica economica ci sono apparse congeniali e hanno rapidamente conquistato ammiratori nel vecchio continente.

Nel 2020, gli avversari alle primarie di Biden, Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, avevano proposto rispettivamente 97 mila miliardi e 40 mila miliardi di nuove spese nel decennio successivo. Biden sembrava un centrista per essersi fermato, nelle sue promesse, a 11 mila miliardi. Questo avveniva in una dibattito elettorale nel quale, fino a pochi anni prima, tutti si sarebbero confrontati con lo straordinario aumento del debito pubblico, +36%, che sotto Trump aveva raggiunto i 27 mila miliardi di dollari. L’inflazione sembrava roba da film in bianco e nero: sostanzialmente ignota alle nuove generazioni, era come l’analfabetismo di massa o il vaiolo, una piaga dalla quale ci eravamo liberati una volta e per sempre. Si pensava che la Fed non avrebbe più avuto bisogno di alzare i tassi. E’ vero che la storia non necessariamente è una buona maestra, ma tassi di interesse stabilmente negativi non si sono mai visti da che uomini e donne scambiano beni con denaro.

L’opinione comune (senza arrivare agli eccessi della cosiddetta Modern Monetary Theory) era però che il mondo fosse, sotto quel punto di vista, cambiato. Con mutua convenienza di Repubblicani e Democratici: i tassi bassi spingevano la crescita dei mercati azionari, cara ai primi, mentre consentivano agli Stati di indebitarsi a costi limitati, come volevano i secondi. Per questo, l’amministrazione Biden ha felicemente inaugurato una nuova stagione di spesa, con i 1900 miliardi dell’American Rescue Plan. Quest’ultimo è stato un provvedimento da record. Si tratta di una delle leggi più costose della storia americana in tempo di pace (i tagli fiscali di Bush e Trump richiedevano un impegno simile per il bilancio federale, ma diluito su dieci anni e non concentrato su due), per giunta posta in essere quando l’economia statunitense era già fuori dalla recessione dovuta al Covid.

In più, Biden ha schiacciato l’acceleratore sugli investimenti in infrastrutture, sia con nuovi stanziamenti per 550 miliardi sia con Build Back Better, che dovrebbe valere 2400 miliardi di dollari. Il senatore della Virginia, Joe Manchin, è stato additato al pubblico ludibrio come un falco, per avere cercato di ridurlo a «soli» 1500 miliardi di dollari. Si è sottovalutata la portata di queste iniziative. Non si è trattato soltanto di un tributo pagato da Biden alla sinistra del suo partito. Si è trattato, soprattutto, di una novità storica: un piano di stimolo pensato e messo in atto in un’economia che dava già segni di surriscaldamento, e che di tutto aveva bisogno fuorché di essere stimolata.

Sullo sfondo, l’idea che per produrre crescita economica basti la spesa pubblica. La Bidenomics sembrava la quadratura del cerchio. Eliminava, con un sol colpo, anni di lunghi dibattiti sui trade off fra crescita ed equità, suggeriva che non c’era bisogno di scegliere. L’intervento statale, adeguatamente calibrato, avrebbe prodotto sia minori diseguaglianze sia più sviluppo. Come avevamo fatto a non pensarci prima?

Per ora la Bidenomics ha prodotto soprattutto inflazione. Il livello dei prezzi sale con una rapidità che non ha avuto eguali negli ultimi trent’anni. Il fenomeno è esacerbato dalla guerra in Ucraina. Sicuramente non aiuta la politica commerciale di Biden: protezionista al pari di quella di Trump e improntata alla stessa logica di una crescente conflittualità con la Cina. Le importazioni cinesi sono al loro massimo storico, negli Usa, nonostante i dazi, ma gli americani, a causa di questi ultimi, pagano per tutta una serie di beni molto di più di quanto potrebbero, in assenza di misure «protettive».

A suonare l’allarme per il ritorno dell’inflazione non erano stati solo economisti «di destra» ma anche Larry Summers. Il quale non è certo ideologicamente contrario a nuove spese ma suggeriva di muoversi con prudenza. Gli Stati Uniti sono stati governati secondo una politica volta a raggiungere (per quanto non tutti gli anni) il pareggio di bilancio grosso modo dal 1790 al 1970. Ad aprire il rubinetto del deficit non sono stati solo i Democratici, ma anche le amministrazioni Nixon e Reagan (quest’ultima, con l’obiettivo non trascurabile di porre fine alla guerra fredda). Era toccato però a un Presidente di sinistra, Bill Clinton, rassettare il bilancio fino a portarlo, per una brevissima stagione, addirittura in attivo.

L’esperienza del passato impallidisce innanzi agli entusiasmi del presente. La Bidenomics doveva segnare un punto di svolta. Per ora pare un esperimento azzardato. Bisognerebbe riconoscere che cercare di importarla in uno Stato, l’Italia, che aveva già il secondo debito pubblico d’Europa è stato ancor più azzardato.

da L’Economia del Corriere della Sera, 20 giugno 2022

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