Bollette, prezzi ed efficienza: i conti in tasca alla libertà

I Paesi più coraggiosi nella liberalizzazione hanno sistemi energetici che funzionano meglio


11 Dicembre 2023

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

La politica ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Giorgia Meloni dall’opposizione aveva più volte attaccato la liberalizzazione del mercato del gas e dell’energia elettrica. Una volta al governo, la premier ha sostenuto il ministro degli affari europei, Raffaele Fitto, che è riuscito a condurre in porto la riforma. Ma anziché vantare questo risultato, la maggioranza ha preferito fare della liberalizzazione, blindata nel Pnrr, l’oggetto di una battaglia al suo interno.

Conta, però, il risultato: a partire da gennaio finirà la regolamentazione dei prezzi finali dell’energia elettrica e del gas, con l’unica eccezione delle famiglie «vulnerabili» che continueranno a fruire delle cosiddette tutele e probabilmente queste ultime andranno a pagare prezzi più alti. Il dibattito di queste settimane è segnato da una divaricazione fra le parole e la sostanza delle cose. Le parole, però, sono importanti e mai come questa volta si è sentita la mancanza di un vocabolario condiviso e non intriso di ideologia.

Il lungo percorso della liberalizzazione inizia più di vent’anni fa, quando il Decreto Bersani del 1999 (energia elettrica) e il Decreto Letta del 2000 (gas) danno attuazione alle direttive europee che impongono l’apertura del mercato. Inizialmente l’attenzione è tutta per la parte a monte del mercato e per la regolamentazione delle reti che, non essendo duplicabili, vanno gestite garantendo l’accesso a tutti gli operatori. L’altro estremo del mercato, cioè la vendita ai clienti finali e in particolare a quelli di piccole dimensioni (famiglie e piccole imprese) venne invece accantonato, rimandando la piena liberalizzazione a tempi migliori.

Formalmente tutti i clienti sono liberi di scegliere il fornitore di gas dal 2003 e di energia elettrica dal 2007. Tuttavia, all’epoca si scelse di non andare fino in fondo, come si era invece fatto per esempio con la telefonia: si stabilì che la facoltà di scelta doveva essere accompagnata «transitoriamente» da un’offerta standard, chiamata tutela e fissata dall’Autorità per l’energia, da riservare a tutti coloro che non avevano ancora stabilito presso chi rifornirsi. Nel caso dell’energia elettrica, in particolare, questo determinò una situazione pressoché di monopolio, perché diversamente dal gas il soggetto dominante controllava all’incirca l’85 per cento del mercato.

Questo sistema doveva prima o poi finire. Cominciò a creparsi nel 2017 (quando oltre il 60% delle famiglie ancora usufruiva della «tutela»): si decise che la regolazione di prezzo avrebbe dovuto cessare a partire dal 2019. Da allora si susseguirono una serie di proroghe fino all’ultima, quella di cui si sta discutendo, che pone il termine ultimo nel gennaio 2024. Finalmente, lo si rispetterà.

Perché si tratta di una riforma importante? Ci sono fondamentalmente tre ragioni. La prima è che la mera presenza di un’offerta regolata (che si chiama addirittura «maggior tutela») costituisce di per sé una distorsione nel funzionamento del mercato, più volte denunciata nel corso degli anni dall’Antitrust e dalle istituzioni europee. La seconda è che, se prendiamo sul serio la sfida della transizione ecologica, rendere più dinamico il mercato è un modo per ingaggiare i consumatori e renderli parte attiva di questa trasformazione. La terza, di cui si parla estensivamente in un recente studio dell’Istituto Bruno Leoni, è che l’esperienza maturata in questi vent’anni mostra che i paesi che liberalizzano con più coraggio hanno sistemi energetici che funzionano meglio e prezzi generalmente inferiori.

Nonostante tutto suggerisca che la liberalizzazione è un’opportunità e che non si può parlare di vera liberalizzazione finché esiste un’offerta di «tutela», la politica si è sbizzarrita, paventando aumenti più o meno inverosimili dei prezzi. Questa eventualità semplicemente non esiste: non solo e non tanto perché sul mercato libero esistono molte offerte assai più economiche della tutela (e altre più costose ma con caratteristiche differenti, per esempio a prezzo fisso o con servizi aggiuntivi). Soprattutto, proprio per quanto riguarda il settore elettrico, che ha scatenato lo scontro politico, il legislatore non ha previsto una transizione «selvaggia»: i consumatori in tutela verranno riforniti da un nuovo fornitore, scelto tramite aste, a condizioni economiche che molto probabilmente saranno migliorative. Così, almeno, è andata quando si è affrontato lo stesso percorso per le Pmi (2021) e le microimprese (2022). E non si capisce perché questa volta dovrebbe essere diverso.

Peccato solo che dal meccanismo siano esclusi i clienti definiti vulnerabili (cioè, perlopiù, gli over-75 e le famiglie a basso reddito), i quali saranno protetti a parole ma finiranno per pagare di più. Diversamente dal 2017, quando la lunga strada per il completamento della liberalizzazione fu per la prima volta tentata, oggi sono «tutelati» meno del 30% dei consumatori, di cui circa la metà «vulnerabili». Questo significa che più del 70% sta già, felicemente, sul mercato libero, dove evidentemente si trova bene perché tende a cambiare fornitore più spesso alla ricerca di offerte migliori ma non torna mai in «tutela». Le polemiche delle ultime settimane sono tutte variamente riconducibili all’idea che i politici conoscano l’interesse dei consumatori meglio dei consumatori stessi. Auguri.

da L’Economia del Corriere della Sera, 11 dicembre 2023

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