«Il caro bollette avrà un peso non trascurabile sulla crescita attesa dell’economia italiana nel 2022, economia che è ancora fragile e quindi più esposta agli shock. Ma è impensabile», dice Nicola Rossi, economista dell’Università Tor Vergata di Roma, già parlamentare del Pd e membro del cda dell’Istituto di ricerca Bruno Leoni, «che lo Stato reintegri per intero le imprese per i maggiori costi conseguenti ai rincari energetici, piuttosto rinunci agli oneri impropri che gravano sulle bollette e alla relativa Iva e lo faccia in modo permanente». Sui bonus per l’edilizia, altro dossier economico oggetto di un accesso dibattito in consiglio dei ministri, Rossi dice: «È abbastanza evidente che non è con queste politiche che si raggiunge in termini permanenti un più sostenuto tasso di crescita potenziale. In generale, l’intera politica dei bonus andrebbe al più presto abbandonata. Essa ha un unico reale beneficiario: la politica che vede aumentare i propri margini di intermediazione». E invece, «una classe politica che mirasse ad innalzare permanentemente il tasso di crescita potenziale trasformerebbe tutti i bonus oggi in essere in un taglio delle aliquote delle imposte dirette».
Domanda. Il consiglio dei ministri è chiamato ad affrontare il caro bollette. La crisi energetica che impatto avrà sulla ripresa economica?
Risposta. Non trascurabile e già lo si riscontra nella revisione al ribasso che da più parti si fa circa la crescita prevista nel 2022. È appena il caso di osservare che solo nel 2022 riusciremo a recuperare i livelli di prodotto interno lordo pre-Covid. Il che implica che le tensioni in campo energetico e, più in generale, le tensioni sul livello generale dei prezzi intervengono in una fase in cui l’economia italiana, come e più dell’economia dell’area dell’euro, è ancora fragile e quindi ancora esposta agli shock. Shock che, anche in conseguenza delle politiche economiche poste in essere nell’ultima decade, non sono da escludere.
D. Quanto servirebbe per calmierare i costi che dovranno sostenere imprese e famiglie?
R. Penso che nessuno immagini di voler reintegrare per intero le imprese per i maggiori costi conseguenti ai rincari energetici. Sarebbero costi proibitivi, ritengo, per la finanza pubblica. Più in generale non credo che sia ragionevole e sano proporsi di “ristorare” qualunque settore produttivo per qualunque evento negativo che possa influenzarlo. Il rischio di impresa è fatto anche di questi aspetti. Mi ha stupito, per fare solo un esempio, vedere imprenditori chiedere il ritorno ai prezzi amministrati per l’energia senza rendersi conto che un minuto dopo sarebbero i loro clienti a chiedere la stessa cosa. La verità è che abbandonare l’abitudine della protezione sempre e comunque indotta dalla pandemia sarà difficile ma sarà anche necessario ed urgente. Detto questo, sarebbe ragionevole ed auspicabile che lo Stato si proponesse di non addossare alle imprese oneri impropri o eccessivi.
D. Di quali sta parlando?
R. Mi riferisco al complesso della fiscalità che grava sulle bollette energetiche e mi riferisco ai cosiddetti “oneri impropri”. L’idea che poi si paghi anche l’Iva sugli oneri impropri suona come una beffa per i contribuenti. Ogni intervento mirato alla riduzione di queste due voci non può e non deve, però, essere temporaneo ma permanente.
D. Il governo con il Piano per la Transizione energetica è pronto a superare la moratoria del 2019 e a raddoppiare la produzione di gas, basterà questo a rendere più autonoma l’Italia dagli approvvigionamenti esteri e a sostenere la ripresa?
R. Credo proprio di no. Così come non credo, francamente, che l’Italia possa affidarsi solo ed esclusivamente alle rinnovabili, che peraltro dovrebbero godere di corsie preferenziali e non dover affrontare gli ostacoli burocratici che oggi sono ancora ben presenti. Penso che dovremmo seriamente aprire un dibattito sul nucleare di ultima generazione. La tecnologia ha fatto non pochi passi in questi ultimi tempi e forse dovrebbero essere chiari a tutti i rischi impliciti nella una dipendenza energetica.
D. L’aver sostenuto con i bonus il settore dell’edilizia ha premiato l’economia? O si sta investendo su un settore che non consentirà una crescita strutturale? In cdm, ma anche all’interno di uno stesso partito come la Lega, le opinioni sono divergenti.
R. Il sostegno al comparto delle costruzioni aveva una finalità congiunturale ed è probabile che, sotto questo profilo, qualche risultato lo abbia ottenuto. Ma è abbastanza evidente che non è con queste politiche che si raggiunge in termini permanenti un più sostenuto tasso di crescita potenziale. In generale, l’intera politica dei bonus andrebbe al più presto abbandonata. Essa ha un unico reale beneficiario: la politica che vede aumentare i propri margini di intermediazione. Alcuni cittadini si illudono di ottenere un beneficio ma non si rendono conto dei costi connessi alla politica dei bonus. Costi che non hanno solo a che fare con le frodi, ma che derivano dalle distorsioni che inevitabilmente quella politica introduce nel sistema economico.
D. Nel bene e nel male, i bonus hanno però liberato risorse, mettendo più benzina nel sistema.
R. Una classe politica che mirasse ad innalzare permanentemente il tasso di crescita potenziale trasformerebbe tutti – dico, tutti – i bonus oggi in essere in un taglio delle aliquote delle imposte dirette. La politica dei bonus – un termine, mi permetto di osservare, umiliante per i cittadini che sono titolari di diritti e doveri e non destinatari di regalie – l’abbiamo sperimentata senza grandi successi. È troppo chiedere che si sperimenti, a parità di spesa, la strada alternativa: il taglio secco delle aliquote fiscali?
D. A conti fatti, secondo lei professore le stime di crescita del Pil per il 2022 devono dunque essere riviste?
R. Come dicevo, ne è già in corso la revisione. Suggerirei, comunque, di non seguire con ansia le revisioni che probabilmente interverranno. Qualche decimo di punto non cambia la sostanza – e cioè quella di una uscita dalla crisi pandemica meno semplice di quanto molti si attendevano – nè deve cambiare l’obiettivo: una crescita potenziale sostenuta nel medio periodo e oltre.
D. Con l’inflazione e il debito pubblico che galoppano come siamo messi nell’eurozona?
R. L’area dell’euro, nel suo complesso, sta uscendo un po’ più rapidamente dalla crisi pandemica di quanto non lo stia facendo l’Italia. Se l’Italia è cresciuta di più nel 2021 è solo perché nel caso italiano il tonfo del 2020 è stato assai più pesante. Mi permetto di osservare che nel 2022, secondo le previsioni della Commissione, solo sei su 27 dei paesi dell’Unione avranno un rapporto debito/prodotto superiore al 100% e solo due (Italia e Grecia) pari o superiore al 150%. Possiamo pure contare sul fatto che un po’ di inflazione solitamente fa bene ai debitori ma prima o poi quella stessa inflazione ce la ritroveremo nei tassi di interesse. E non sarà piacevole.
D. Alternative?
R. Personalmente credo che sarebbe stato più saggio limitare la quota di fondi europei presi a prestito (così come hanno fatto molti altri paesi). Purtroppo, la Commissione Europea al momento opportuno ha dimenticato una delle più importanti regole di comportamento di un banchiere che in inglese suona così: «the prudent banker says: think twice» («il banchiere prudente dice: pensaci due volte», ndr).
D. A queste condizioni, cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima legge di bilancio?
R. Vedremo, innanzitutto, quali saranno i numeri e le indicazioni del Documento di Economia e Finanza. Vedremo anche in quali termini le riforme ancora da completare saranno effettivamente completate. E vedremo anche, nei prossimi mesi, quali saranno gli esiti delle tensioni all’interno della maggioranza e delle forze politiche, tensioni che potrebbero essere acuite dai referendum del prossimo maggio. Aggiungo che la prossima sessione di bilancio cadrà in un periodo in cui il voto anticipato potrebbe non essere impossibile. Direi che, con queste premesse, sarebbe saggio rinviare ogni previsione sulla legge di bilancio.
da Italia Oggi, 17 febbraio 2022