L'intreccio tra politiche energetiche, climatiche e politica estera condanna al fallimento l'isolazionismo europeo: per questo Bruxelles dovrebbe cercare un dialogo più serrato con gli Stati Uniti.
19 Marzo 2006
Argomenti / Ambiente e Energia , Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Politiche pubbliche
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Mario Sechi
Il protocollo di Kyoto è destinato a naufragare, non solo per via delle incertezze scientifiche che ne minano la credibilità, ma anche dalla crescita dei consumi e delle emissioni delle economie emergenti. Innovazione, cooperazione internazionale e libertà di mercato sono le chiavi per affrontare i mutamenti climatici, mentre i movimenti geopolitici in atto suggeriscono l’opportunità di una politica energetica comune ai Paesi sviluppati, che non può prescindere dall’elaborazione di una politica climatica condivisa e ragionevole.
Il protocollo di Kyoto è uno strumento inefficiente per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici. L’Unione Europea non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi. L’attenzione deve rivolgersi alle economie emergenti e alla loro crescita tumultuosa. Un accordo razionale deve basarsi sulla cooperazione tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo. Il problema non è arginare lo sviluppo, ma favorire uno sviluppo pulito. La politica del clima è strettamente legata alla politica energetica ed estera. La debolezza della politica energetica europea impone la ricerca di alternative che siano compatibili con un assetto geopolitico stabile. La via giusta è quella individuata a Gleneagles e poi messa in pratica dalla Asia and Pacific Partnership on Clean Development. L’Italia dovrebbe abbandonare la sterile via europea e agganciarsi all’accordo promosso dagli Stati Uniti.