Nessuno – tanto meno un politico – può permettersi di dire cosa è la verità e chi ne è il portatore
La polemica via social tra il Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, e il proprietario di X (ex Twitter), Elon Musk, ha raggiunto un livello che non può più essere ignorato. In questo caso, la sostanza è secondaria rispetto alla forma.
Da tempo le istituzioni europee accusano X di violare le regole, in particolare il Digital Services Act (Dsa), un regolamento europeo da poco entrato in vigore con l’obiettivo teorico di garantire maggiore protezione ai consumatori. Le previsioni del Dsa sono discutibili perché spesso danno per scontato che il consumatore possa essere ingannato da qualunque ciarlatano e sono pertanto molto intrusive; al tempo stesso, il Dsa ha l’indiscutibile merito di rappresentare un tentativo di armonizzare le norme a livello Ue e prevenire una assurda frammentazione del mercato digitale europeo. Questo per dire che non entriamo, in questa sede, nel contenuto delle contestazioni, le quali peraltro dovranno essere provate e difese in sede di contenzioso a valle degli inevitabili ricorsi di X.
Quello che è intollerabile è che un rappresentante delle istituzioni, oltre tutto in uscita visto che una nuova Commissione dovrà sostituire quella attuale, si permetta di strattonare pubblicamente un’impresa per accuse che, appunto, sono ancora tutte da dimostrare. Lo scontro, in atto da tempo, è culminato con un tweet in cui Breton accusa X di generare confusione negli utenti attraverso l’attribuzione della spunta blu, che chiunque può ottenere sottoscrivendo un abbonamento. Secondo Breton, “una volta, la spunta blu era usata per individuare le fonti di informazione affidabili. Ora con X la nostra opinione preliminare è che: essa inganna gli utenti; essa viola il Dsa. X ha adesso il diritto di difendersi ma se la nostra visione sarà confermata imporremo delle sanzioni e pretenderemo cambiamenti significativi”. Ha avuto buon gioco Elon Musk a rispondere: “e come facciamo a sapere che sei proprio tu?”. Infatti, la spunta blu (sia ora, sia in precedenza) non fa altro che certificare l’identità dell’utente. Cioè, grazie alla spunta, gli utenti sanno con certezza che Breton è proprio Breton e Musk è proprio Musk, e non sono soggetti terzi che si spacciano per loro. Non è la prima volta che il Commissario si esprime in modo inaccettabile: poche settimane fa abbiamo denunciato il modo in cui aveva sbeffeggiato Apple, dicendo che il suo slogan avrebbe dovuto diventare “Act differently”, anche in quel caso sulle base di un’accusa ancora tutta da dimostrare.
L’attacco di Breton è tre volte preoccupante: per il tono sguaiato, che è incompatibile con chi sta ai vertici delle istituzioni europee e dovrebbe fare del proprio meglio per applicare le norme, non per minacciare le imprese; perché dimostra evidentemente di non conoscere nel dettaglio la natura dell’accusa verso X; e, più importante di tutto, perché sembra accreditare l’idea che spetti alle piattaforme stabilire quali fonti di informazione sono “affidabili” e, a fortiori, alla Commissione europea decidere se lo fanno in modo corretto. La libertà di opinione, per come noi la concepiamo, coincide proprio col diritto delle persone di scegliere liberamente di chi fidarsi, senza che nessuno – tanto meno un politico – si permetta di dire cosa è la verità e chi ne è il portatore. Al di là del caso specifico, dunque, il comportamento di Breton ha un sottinteso che sarebbe ingenuo, sbagliato e pericoloso ignorare.