Cacciamo solo gli stranieri che fanno grande l'Italia

Il caso dei direttori-manager dei musei è emblematico

26 Maggio 2017

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La bocciatura dei direttori-manager dei musei italiani in quanto «stranieri», al di là delle pur fondate questioni di ordine tecnico-giuridico, la dice lunga sullo stato di arretratezza del nostro sistema e sulla necessità di porre rimedio a regole che ostacolano ogni possibilità di crescere e migliorare.

A parere di molti, l’introduzione due anni fa di direttori-manager più autonomi e responsabilizzati ha prodotto buoni risultati. Lo dicono pure i dati sull’affluenza ai musei da parte del pubblico, oltre alla generale percezione che anche in ragione di questa nuova dirigenza si sta effettivamente iniziando a ricostruire un settore quello dei beni culturali così importante per il nostro Paese. E se questi nuovi responsabili sono stati scelti senza guardare alla nazionalità, tanto meglio: perché questo sta a indicare che si è posta la soddisfazione del pubblico al di sopra di ogni diversa considerazione. D’altra parte, non è chiudendo la porta in faccia a qualità e professionalità che si potrà crescere. Per quale motivo nessuna azienda preferirebbe un italiano a uno straniero anche nel caso in cui il secondo fosse migliore? Il motivo è che quanti operano sul mercato devono mettersi al servizio dei consumatori. Ma anche il settore pubblico, se vuole iniziare a funzionare un po’ meno peggio, deve sprovincializzarsi e aprirsi al mondo.

Va aggiunto che un tempo questi problemi non c’erano. Prima che le società europee fossero dominate da quella cultura nazionalista che sarà all’origine di conflitti molto sanguinosi, le monarchie del Vecchio continente hanno sempre cercato di trarre beneficio dall’intelligenza e dalla sapienza di chiunque: quale ne fosse la sua origine. Il cardinale Giulio Mazzarino era nato in Abruzzo e il banchiere Jacques Necker a Ginevra, ma entrambi poterono essere ministri di Francia tra il Seicento e il Settecento. Deve poi essere chiarito una buona volta come non sia affatto vero che «uno vale uno». Gestire un museo esige conoscenze, esperienze, percorsi formativi e professionali, e proprio al fine di rinnovare la situazione italiana potrebbe essere utile che vari dirigenti di musei stranieri venissero da noi: aiutandoci a ripensare un settore tanto bisognoso di aria fresca. A questo punto, però, non è più solo questione di arte e musei.

Se si vuole immaginare un Paese un po’ migliore, infatti, è opportuno chiedersi quanto sia sensato che nessun nostro dirigente pubblico possa venire da fuori: anche se tutti trarremmo beneficio dal suo contributo. Al ministro Dario Franceschini che legittimamente ha reagito in termini molto polemici di fronte alla decisione dei giudici va allora chiesto di farsi interprete di riforme che superino questa logica autarchica non solo in riferimento al suo dicastero, ma all’intero apparato dell’amministrazione. Sarebbe paradossale che quella stessa Italia che è incapace di controllare un’immigrazione indesiderata, sbarri poi la strada a professionisti che sono disposti a scommettere su di noi.

Da Il Giornale, 26 maggio 2017

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