Il governo di Mario Draghi sembra intenzionato a calmierare il prezzo delle mascherine Ffp2, fissando un tetto di 1-1,5 euro. Il controllo dei prezzi non ha mai funzionato, e non funzionerà neanche questa volta. Eppure si tratta di una risposta sbagliata a un problema concreto, che andrebbe affrontato con maggior rispetto della realtà.
La questione nasce dall’obbligo di indossare la Ffp2 – in luogo della semplice chirurgica – sui mezzi pubblici, nei teatri, nei cinema, negli stadi e in molti altri luoghi, stabilito dal decreto di Natale. Questo determinerà inevitabilmente un aumento dei consumi di questo tipo di dispositivo (gli economisti direbbero: uno shock dal lato della domanda), finora utilizzato da molti per precauzione ma non in maniera così generalizzata.
La ratio del provvedimento sta, ovviamente, nel maggior potere filtrante di tali mascherine, necessario a limitare la diffusione della più contagiosa variante Omicron. Esse, tuttavia, hanno costi relativamente elevati rispetto alle mascherine chirurgiche: una spesa che può essere eccessiva per le famiglie numerose e a basso reddito, che pertanto potrebbero essere indotte a riutilizzare la medesima mascherina, vanificandone l’efficacia.
Che fare, allora? Anzitutto, imparare le lezioni del passato. Il nostro paese ha un precedente: il 27 aprile 2020 entrò in vigore il tetto di 50 centesimi sul prezzo delle mascherine chirurgiche che, all’epoca, erano molto più difficile da trovare. L’effetto fu esattamente quello che la teoria lasciava prevedere: le mascherine, già scarse, diventarono ancora più introvabili, tanto che a metà maggio il Sole 24 ore titolava “Caos mascherine a prezzo calmierato: poche e in ritardo”. L’incremento dei prezzi nel breve termine, a fronte di un improvviso aumento della domanda, è fisiologico e sano: serve per attirare capitali e investimenti e aumentare la capacità produttiva. Naturalmente, nel medio termine le cose vanno diversamente, anche perché le mascherine sono una commodity utilizzata in tutto il mondo, sicché in breve tempo i prezzi sono scesi ben al di sotto del tetto di 50 centesimi. Ma, proprio nel momento in cui servivano di più, l’ordinanza di Domenico Arcuri le aveva rese ancora più scarse.
In generale non c’è esempio di tetto ai prezzi che non abbia aggravato la scarsità sottostante, dai tempi di Diocleziano a quelli di Peppe Provenzano che oggi invoca a gran voce la misura, L’unico caso in cui ciò non accade è quando il tetto è superiore ai prezzi effettivamente praticati sul mercato: nel quale caso esso è, ovviamente, inutile. Perfino il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, non esattamente un neoliberista, in un tweet lanciato ieri, ha definito “davvero stupide” le politiche di controllo dei prezzi.
Per quanto riguarda le mascherine Ffp2, esse si trovano a prezzi molto diversi: l’aneddotica racconta addirittura di casi in cui sono vendute a 3 e più euro l’una, mentre si trovano nei vari negozi attorno a 1 euro e online a prezzi ancora più convenienti, talvolta addirittura attorno ai 50 centesimi. In questo contesto, e a fronte a una domanda in crescita, mettere un calmiere non può far altro che inceppare il funzionamento del mercato. Anzi, poiché spesso il tetto diventa un target, il rischio è che i prezzi di vendita si allineino al cap, anche se i costi potrebbero giustificare un ribasso maggiore. Ciò non significa che il governo debba stare a guardare, anche perché al prezzo di 1 euro o meno il costo per le mascherine può essere per molti eccessivo. Se il governo impone le mascherine Ffp2 come obbligatorie, perché presidio sanitario necessario alla protezione individuale e pubblica, mettere un calmiere può essere solo un modo per dire di aver fatto qualcosa di giusto senza poi preoccuparsi realmente di rendere realmente le mascherine accessibili a tutti.
Questa preoccupazione è più importante per le famiglie a basso reddito: una nucleo di quattro membri, che usano tre mascherine alla settimana, dovrebbe sostenere una spesa aggiuntiva di 72 euro al mese (nell’ipotesi di un prezzo di 1,5 euro), che in alcuni casi può incidere significativamente sul bilancio famigliare. Allora, andrebbe prevista la possibilità per le famiglie a basso reddito di ricevere un certo numero di mascherine mensili gratuite (o dietro pagamento di un ticket simbolico, per esempio 50 cent), come già avviene nella scuola. Dal punto di vista dei prezzi, la Consip – facendo acquisti massivi – potrebbe spuntare condizioni migliori di qualsiasi tetto; dal punto di vista della logistica, si potrebbe usare la rete capillare di farmacie e parafarmacie, che attraverso la lettura della tessera sanitaria dispongono delle informazioni relative al diritto o meno di ricevere l’agevolazione; dal punto di vista dell’equità, si concentrerebbe l’aiuto su chi ne ha bisogno, senza scaricare sull’intera collettività gli effetti perversi di una politica mal disegnata.
da Il Foglio, 31 dicembre 2021