La campagna di Ursula è soltanto elettorale

Nel caso degli agricoltori Ursula von der Leyen sta dimostrando che, anche a Bruxelles, la politica esiste eccome


7 Febbraio 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

Che gli agricoltori stiano protestando è chiaro a tutti. Perché lo stiano facendo, meno. Questo perché le ragioni della protesta sono molte e diverse. Dietro alla generale paura degli effetti del Green Deal sul settore, ci sono elementi di malcontento che si distinguono a livello nazionale: in Germania, l’eliminazione dei sussidi per il gasolio e delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei macchinari; nei paesi dell’Est Europa, gli effetti sul mercato interno nazionale dovuti all’azzeramento dei dazi sul grano ucraino; in Francia, il livello di pressione tributaria e l’eccessiva regolamentazione del settore; in Italia, si aggiungono le presunte minacce all’identità nazionale, cavallo di battaglia dello stesso ministro “dell’agricoltura e – guarda caso – della sovranità alimentare”, Francesco Lollobrigida. 

Questa varietà di motivi conduce a due considerazioni. Innanzitutto, l’esperienza delle rivolte insegna che i ribelli sono spesso chiamati a scendere in strada da soggetti che magari si guardano bene dal farlo. In piazza si va se c’è una regia capace di convogliare e organizzare energie e motivazioni. È uno dei motivi per cui i consumatori non protestano mai. Il fatto che i trattori solchino le strade di mezza Europa per ragioni differenti ma nello stesso momento vuol dire che una parte politica ha individuato negli agricoltori la fanteria con cui iniziare la battaglia elettorale e, con questo spirito, l’ha messa in marcia verso le capitali europee. 

Così, il leader del Rassemblement National francese ha dichiarato che «l’Europa di Macron vuole la morte della nostra agricoltura». Matteo Salvini ha scritto che i «trattori stanno costringendo l’Europa a rimangiarsi le follie imposte dalle multinazionali e dalle sinistre». Lollobrigida si è messo al lavoro per tornare all’esenzione Irpef per i redditi agrari e dominicali, eliminata di recente dalla legge di bilancio. Giorgia Meloni, ricordando che il mondo agricolo è uno dei principali mondi a cui il governo ha rivolto l’attenzione, si è affrettata a dire che le risorse del Pnrr a loro destinate salgono a 8 miliardi. Viktor Orban è andato incontro ai trattori che giungevano a Bruxelles. 

Le destre nazionali e le istanze nazionaliste dei paesi europei hanno quindi individuato negli agricoltori un importante bacino elettorale, e nelle loro preoccupazioni un buon leitmotiv in vista del voto di giugno. Bisognerebbe allora capire, per venire alla seconda considerazione, a cosa valgono le risposte alle proteste che stanno dando l’Unione europea e il governo europeista di Macron. Il settore agricolo, non meno di altri, è esposto alle transizioni e trasformazioni che questi tempi impongono con forza e rapidità. Tuttavia, a fronte di proposte tradizionali e scontate di protezione in forma di sussidi e agevolazioni – come chiedono le forze nazionali – un vero gioco di rimessa da parte della istanze europeiste dovrebbe alzare il livello dello discussione e dirottare il confronto su soluzioni di più lungo respiro. Dovrebbe, ad esempio, cominciare a discutere di come migliorare l’organizzazione della filiera per aumentare la quota di valore aggiunto e non dipendere integralmente dalle politiche dei distributori. 

Gabriel Attal in Francia ha promesso una serie di misure di semplificazione e aiuti. Ursula von der Leyen ha prima annunciato un’ulteriore proroga della sospensione dell’obbligo di tenere a riposo il 4% dei terreni, previsto dalla nuova Pac per aiutare la biodiversità, poi ha annunciato il ritiro della proposta di regolamento sui pesticidi. Le motivazioni con cui la von der Leyen ha spiegato questi ripensamenti rischiano di essere il segnale di istituzioni europee facili da catturare. Un segnale utile agli agricoltori oggi, chissà a chi domani.
 
Il fatto che la presidente della Commissione europea sia già in campagna elettorale non fa che esasperare l’impressione di una magra figura, esponendola alla constatazione di aver agito solo per contendersi maldestramente gli elettori del settore agricolo, con l’ulteriore aggravante di arrivare comunque seconda rispetto ad altri soggetti politici che hanno già abbracciato la loro causa. Ursula von der Leyen forse più di altri Presidenti di Commissione sta dimostrando che la politica esiste eccome, a Bruxelles. È una visione nuova e diversa rispetto a quella dell’Europa fredda burocrate. Tuttavia, la posta in gioco di una politica che inizia a mercanteggiare è, in Europa, due volte alta. 

Un’Unione europea politica che comincia a utilizzare, anche di fronte all’opinione pubblica, le stesse strategie elettorali che siamo stanchi di vedere a casa nostra, rischia di farci preferire l’originale della politica nazionale, se non altro in quanto usato sicuro. In secondo luogo, l’acquis europeo costruito in settanta anni di “tecnocrazia” europea difficilmente potrà essere scardinato dai tatticismi della politica. Le sentenze delle corti europee, ad esempio, hanno ormai una solidità loro propria e le istituzioni politiche dell’UE devono farci i conti molto più di quanto non accada a livello statale. 

In definitiva, è una notizia buona che l’Europa voglia esprimere una sua capacità (responsabilità) politica e uscire da dietro il paravento della burocrazia. Purché sia pronta a elevare argomenti e metodi rispetto a quelli espressi dalla politica degli Stati. Una questione nient’affatto scontata.

da La Stampa, 7 febbraio 2024

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