Cannabis light: quando lo stato di diritto va in fumo

Una sorta di microcosmo nel quale si vedono tutti i guasti dell'incertezza delle norme

17 Dicembre 2019

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche Teoria e scienze sociali

L’emendamento che avrebbe chiarito la legittimità del commercio della cannabis light non entrerà nella legge di bilancio 2020. Lo ha deciso la Presidenza del Senato, valutando la proposta inammissibile in quanto priva di un impatto diretto sul bilancio dello Stato. La decisione è probabilmente corretta, dal punto di vista tecnico: tuttavia, questo è uno dei casi in cui dietro il formalismo si nasconde la sostanza di una presa di posizione tutta politica. Infatti, non ci sarebbe stata alcuna necessità di intervenire sulla legge sulla canapa industriale, se non ci fosse stato, l’anno scorso, un deciso cambio di rotta nell’enforcement delle norme. D’altronde, neppure questo sarebbe stato possibile, se il diritto vigente non fosse stato ambiguo ab origine. Il risultato è tuttavia che le residue speranze di migliaia di produttori ed esercenti – molti dei quali hanno ormai gettato la spugna – si sono ulteriormente affievolite, e i consumatori perderanno un canale d’accesso legale a prodotti del tutto innocui.

Se accolto, l’emendamento avrebbe chiarito la libertà di commerciare i fiori e utilizzare tutte le parti della pianta di cannabis, purché il contenuto di THC non superasse lo 0,5 per cento. È su queste basi che si era sviluppato, negli scorsi anni, un commercio – se non fiorente – tale comunque da dare un’opportunità e un reddito a circa 12 mila famiglie solo per quanto riguarda la distribuzione dei prodotti, e molte altre nella coltivazione e nella lavorazione della pianta. Il giro di vite sulla cannabis light è due volte incomprensibile: in primo luogo perché, come detto, non sembra esserci evidenza di conseguenze avverse per la salute, e poi perché – in una fase di stagnazione dell’economia e di impoverimento del tessuto urbano – si vanno a colpire attività che contribuivano a generare Pil e a dare respiro alle nostre città.

La cosa peggiore di questa vicenda è che rappresenta una sorta di microcosmo nel quale si vedono tutti i guasti dell’incertezza delle norme. Chi avversa la diffusione dei prodotti a base di canapa di appiglia al vuoto normativo per chiedere interventi più o meno muscolari lasciati alla discrezionalità dell’enforcement locale. Chi, viceversa, intende affrontare una scommessa imprenditoriale, sa di non poter contare sulla protezione delle legge: dovrà affidarsi alla benevolenza del sovrano. È così che lo Stato di diritto se ne va in fumo.

17 dicembre 2019

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