Cari Ghosh e Mazzucato, sui vaccini sbagliate

È singolare che la Mazzucato affermi che le imprese private debbano assumere i ruoli e le funzioni proprie degli Stati

4 Gennaio 2022

La Repubblica

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Economia e Mercato

Franco Debenedetti risponde all’articolo sull’accessibilità dei vaccini anti-Covid apparso sullo speciale “L’anno che verrà” di Repubblica. “Come abbiamo i No Vax, potremmo avere nazioni No Vax; se non riusciamo a convincere i primi a casa nostra, che faremo con le seconde in giro per il mondo? Stabilire a quali Paesi e in che quantità debbano essere forniti i vaccini richiede conoscenze e potere di coordinamento”

È singolare che Mariana Mazzucato, che ha avuto un grande successo – libresco per sua e nostra fortuna – propugnando che lo Stato possa e debba avere il ruolo di innovatore e investitore, di fronte alla pandemia sostenga che, per frenare questa e qualsiasi altra futura, siano le imprese private a doversi assumere i ruoli e le funzioni proprie degli Stati. È quello che si deduce da un articolo, scritto insieme a Jayati Ghosh, uscito per Project Syndicate e ripreso da La Repubblica del 2 Gennaio 2022.

Per le pandemie future sarei più prudente, ma per la presente non è condivisa da tutti è anzi una stupidaggine: nessuno pensa che si possa eradicare il virus senza farlo in tutto il mondo, per evitare che il virus produca qualche nuova variante da combattere daccapo; e che per raggiungere questo obbiettivo non bastino le forze del mercato. Come abbiamo i No Vax, potremmo avere nazioni No Vax; se non riusciamo a convincere i primi a casa nostra, che faremo con le seconde in giro per il mondo?

Stabilire a quali Paesi e in che quantità debbano essere forniti i vaccini richiede conoscenze e potere di coordinamento. Alle prime servono i ministeri degli Esteri, alle seconde la partecipazione degli organismi internazionali, prima fra tutti la World Health Organisation, organo delle Nazioni Unite.

Chi ne pagherà il prezzo? Gli autori dicono che “non possiamo fare affidamento su soli monopoli, imperativi commerciali, iniziative di beneficienza”. In realtà per ora è soprattutto a queste che ci stiamo affidando (Gavi, un comitato di imprese, non profit e stati compra vaccini per distribuirli nei paesi poveri). Il prezzo dunque non può essere nullo e non deve necessariamente essere uguale per tutti.

A negoziare i prezzi per noi stati i governi con risultati brillanti; possono farlo anche per loro: sappiamo quanto sovente quei governi siano corrotti, anche quella è una pandemia. Allora c’era penuria di dosi, e i produttori erano pochi, oggi ce ne sono dappertutto, e non solo in Europa, altri ne nasceranno se ci saranno imprese locali che pensano di poterlo fare a prezzi inferiori: il più grande produttore di vaccini al mondo è un’azienda di farmaci generici in India, produce farmaci non protetti da brevetto. L’ossessione degli autori per i monopoli privati in questo caso è fuori luogo.

Come lo è la questione dei brevetti, la remunerazione che essi garantiscono all’inventore è variabile nel tempo: diminuisce man mano che aumenta il numero di prodotti equivalenti Quella remunerazione è una parte del prezzo e quindi rientra, come è stato per i vaccini destinati a noi, nella negoziazione che Stati e organizzazioni internazionali faranno con i produttori. Se un produttore locale pensa di poter produrre farmaci, e i brevetti sono oggetto di licenza, il ricavo da brevetto è potenziale fonte di ricavo per chi lo detiene, e quindi negoziabile in regime di concorrenza. È dubbio che abolirlo del tutto porti risparmi significativi, è certo che stabilirlo come regola, subordinarlo a “una revisione completa delle norme” significherebbe intervenire nel delicato sistema degli incentivi alla ricerca, che nel caso dei vaccini ha dimostrato di funzionare in modo perfetto. Hanno idea degli anni che queste negoziazioni richiedono in sede Ocse, World Trade Organization, e simili?

E poi: destinare vaccini, renderli disponibili alla frontiera, finanziare l’acquisto è non aver fatto neppure metà del necessario: bisogna conservarli, distribuirli sul territorio, organizzarne la somministrazione, creare i sistemi informatici per tener conto del lavoro fatto. Se non vi si provvede, i vaccini scadranno negli aeroporti, ma di regola non sono cose di cui hanno competenza i produttori di vaccini. Sarebbe da pazzi immaginare che Stati che non riescono a garantire, per esempio, una giustizia minimamente efficiente o un esercito che non sia la milizia privata di qualche fazione, poi siano in grado di montare hub vaccinali in pochi mesi. È necessaria la collaborazione tra Stati, quelli che donano e quelli che ricevono, e non è sempre facile, si rischia di urtare orgogli e suscettibilità.

Ancora: le risorse non diventano infinite con la gratuità dei brevetti. C’è un problema di allocazione di risorse scarse: l’età media in Africa è più bassa che da noi, la popolazione più anziana di 65 anni è circa il 3% e i rischi sanitari sono molto diversi. Nell’Africa subsahariana muoiono di malaria circa 700 mila bambini tutti gli anni. Più che regalargli vaccini Covid sarebbe opportuno continuare a provare a sviluppare soluzioni per la malaria.

Ma i nostri autori, invece che queste travi nell’occhio degli Stati, preferiscono vedere le pagliuzze in quelli dei Big Pharma, dei loro consigli di Amministrazione, dei loro azionisti. E, per non farsi mancar nulla, buttarla in discussioni tra shareholder e stakeholder value.

da La Repubblica, 4 gennaio 2022

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