5 Gennaio 2022
Il Foglio
Franco Debenedetti
Presidente, Fondazione IBL
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Cosa ne penso di Berlusconi al Quirinale? Non essendo praticabile, per indisponibilità dell’interessato, quello che per il Financial Times sarebbe il first best, Sergio Mattarella presidente fino alla fine della legislatura, ma essendo disponibile il second best, Mario Draghi al Quirinale per sette anni, la risposta è che sarebbe una scelta sbagliata. Una, non la scelta: sarebbe sbagliato qualunque altro nome venisse fatto. A domanda maligna, risposta limpida: di per sé, in astratto, non ritengo che Berlusconi non possa essere presidente della Repubblica, anzi riconosco le ragioni per cui potrebbe esserlo. Se, sempre in astratto, lo diventasse, non restituirei il passaporto al Viminale: e crepi la malizia!
Ho fatto tre campagne elettorali, una con i Progressisti, due con l’Ulivo, sono stato in Senato per tre legislature: sempre, Berlusconi era l’avversario da battere. Se a volte ho votato in modo difforme dal mio gruppo, era perché ritenevo che così lo si sarebbe combattuto meglio. Ho sempre pensato che l’anti-berlusconismo viscerale, “con l’elmetto”, abbia recato “gravi lutti agli Achei”. Molti mi hanno criticato, ma non ero il solo. Il mio appello pubblicato dal Corriere il 4 dicembre 1994, una delle mie prime uscite pubbliche da neo senatore, denunciava il “patto miope contro le generazioni future” con cui il sindacato aveva obbligato a stralciare dalla Finanziaria una, sia pur modesta, riforma delle pensioni presentata dal primo governo Berlusconi: oltre alle firme di Franco Modigliani, di Sylos Labini e Mario Baldassarri, raccolsi anche quella di Romano Prodi.
Andreatta e Prodi fondarono il centrosinistra, con o senza trattino, Berlusconi il centrodestra. Insieme diedero vita alla stagione del maggioritario e dell’alternanza. In confronto all’attuale panorama politico, non credo di essere il solo a rimpiangerla, e non fosse che per questo il futuro presidente dovrebbe nominarli entrambi senatori a vita. Con Prodi (e Draghi direttore generale del Tesoro) l’Italia vinse l’oscar delle privatizzazioni, liberalizzando e restituendo al mercato settori industriali da più di mezzo secolo monopolizzati dallo stato; ma neppure cercò di privatizzare la Rai. Berlusconi aggirò il monopolio con la sua televisione commerciale e così intestandosi la madre di tutte le liberalizzazioni: dà agli italiani la libertà di scegliere e agli imprenditori un formidabile strumento di promozione della crescita interna del paese. Un primo, piccolissimo passo verso la sconfinata libertà del digitale. Invece per l’antiberlusconismo la televisione commerciale creava un mondo “intrinsecamente berlusconiano”: così portava la sinistra su posizioni incompatibili con la pretesa di interpretare il moderno. Fu una guerra potere travestita da guerra di religione, fu la nostra guerra dei trent’anni, come titola il libro che scrissi con Antonio Pilati.
Berlusconi, copyright Mario Seminerio, “non è stato peggiore di tanti suoi avversari malati di moralismo che tuttavia non avevano le sue intuizioni, e per questo motivo masticavano amaro per la propria palese inadeguatezza”. I suoi avversari cercarono prima di decretarlo incompatibile puntando sul conflitto di interessi; poi, con un cavillo, di renderlo incompatibile; infine discussero il modo per dichiararlo incandidabile. Un quarto di secolo dopo può ben candidarsi alla massima carica dello stato.
Il problema non è se può candidarsi, ma se gli conviene. Esserlo in gran dispitto di tanti suoi nemici è già un successo, più lo contestano più aumenta di valore: con tutto il rispetto per gli altri nomi che vengono fatti, la sua appare sempre più l’unica candidatura che può essere opposta a quella di Draghi. Gli val la pena rischiare? Perché invece non zittire i suoi detrattori, e passare alla storia come colui che, pur avendo i numeri per provare a vincere, vi rinuncia per spianare la strada a quello che anch’egli in cuor suo deve riconoscere essere la scelta migliore per il paese. E’ stato lui che l’ha mandato a governare la Banca d’Italia, lui che l’ha lanciato alla presidenza della Banca centrale europea, potrà dire che è stato lui a spianargli la strada al Colle. Quelle furono due ottime scelte: lo sarà anche questa. Ancora una volta: grazie Silvio.
da Il Foglio, 5 gennaio 2022