6 Marzo 2023
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Politiche pubbliche
Ci sono idee che prendono il volo e non si capisce bene il perché. In Italia sembra irrinunciabile l’apertura di uno stabilimento Intel in cui verranno stampati circuiti integrati su fogli di silicio. Il nostro è un Paese nel quale da tempo languono gli investimenti diretti esteri, quindi bisognerebbe festeggiare. Ma in questo caso Intel non apre in Italia perché ha trovato da noi competenze essenziali alle sue produzioni. Arriva per i sussidi che lo Stato ha scelto di offrirle, finanziando per il 40% l’investimento. Si tratta di produzioni sulla frontiera della tecnologia, che potrebbero fare compiere un salto al mondo della ricerca? No, perché quelle cose Intel le fa altrove. Il contribuente dev’essere contento di sostenere l’iniziativa? Il suo interesse di consumatore sta nell’avere a disposizione sempre più potenza di calcolo, a costi sempre inferiori. Il coinvestimento dello Stato italiano agevolerà l’una cosa e l’altra? Ci vuole fantasia per sostenerlo.
Il governo Meloni è mal visto, perché non pare srotolare il tappeto rosso con la determinazione dei predecessori. Costoro lo facevano per spirito d’imitazione: l’amministrazione Biden ha stanziato 39 miliardi di dollari in sussidi diretti e 24 miliardi in crediti fiscali per stimolare la produzione di semiconduttori sul suolo americano.
Il Chips Act del 2022 nasce da una situazione contingente. Con Covid e lockdown, gli ordini per nuovi autoveicoli crollarono: a che pro cambiare macchina se siamo costretti in casa? Le case automobilistiche immaginarono che il crollo della domanda non sarebbe stato temporaneo e tagliarono gli ordini per i chip ormai indispensabili in qualsiasi auto. I fornitori a loro volta si adattarono, riducendo la produzione e privilegiando altri impieghi.
Il Chips Act risponde a una variazione temporanea della domanda con ingenti sussidi. Per carità, alle aziende fa piacere: nessuno rifiuta i regali. Ma è bizzarro immaginare che i provvedimenti legislativi, che hanno tempi sfasati da quelli del mercato, possano risolvere problemi simili. Come una contrazione della domanda porta a una riduzione della produzione, così un suo aumento conduce a produrre di più. Da quando la discussione sul Chips Act ha avuto inizio, l’industria dei semiconduttori ha annunciato investimenti privati per 800 miliardi, sedici volte i finanziamenti statali. Perché? Perché la richiesta è cresciuta vistosamente dai mesi più bui della pandemia e a quella domanda imprese orientate al profitto provano a fare fronte: come è sempre stato. Se non c’è una ragione «industriale» in senso proprio, arriva subito in soccorso la geopolitica. La Cina, si dice, sussidia i suoi produttori di semiconduttori. Senz’altro. Non si capisce, però, perché presumere che ogni aiuto centri l’obiettivo. Fosse così facile.
Di solito, come chi ha un po’ di memoria dovrebbe ricordare, noi tendiamo anzi a soccorrere esattamente quelle produzioni che pensiamo non potrebbero galleggiare da sé, in un’economia di mercato. Diamo soldi ai teatri lirici perché riteniamo che non ci sia domanda a sufficienza per sostenerne i costi. Finanziamo la ricerca sulle malattie rare, perché i beneficiari sono un numero limitato di persone, non quella per i farmaci contro l’impotenza.
La Cina spalleggia l’industria dei semiconduttori ma poi le sue imprese importano dall’estero l’84% dei chip che utilizzano: sostanzialmente, tutti quelli che finiscono nell’elettronica di consumo e non in tecnologia militare. L’amministrazione Biden ha deciso che i finanziamenti all’industria dei microchip dovranno servire anche ad accrescere l’occupazione femminile fra quanti costruiranno le nuove fabbriche (su 10 lavoratori nel manifatturiero, solo 3 sono donne). Lo faranno sostenendo gli asili nido, dal momento che le cure per l’infanzia si mangiano quasi il 20% del salario di un lavoratore manuale. La questione è seria, molto di più della guerra dei microprocessori con la Cina. Ma perché una cosa che si chiama Chips Act dovrebbe servire per accrescere il numero degli asili? Una volta si diceva che a un obiettivo dovrebbe corrispondere uno strumento. La spesa pubblica ha spesso ragioni che la ragione non conosce. Quando l’amministrazione Usa si comporta come i peggiori governi della prima repubblica, forse non è il caso di copiarla. O forse è proprio il motivo per cui la copiamo.
da L’Economia del Corriere della Sera, 6 marzo 2023