4 Ottobre 2016
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Ogni fenomeno sociale è complesso, ma di solito la nostra capacità di intendere le sue varie implicazioni è limitata, dato che tendiamo a concentrare l’attenzione sui primi effetti e non sulle conseguenze di lungo periodo che ne derivano. Quando un Paese come l’Argentina, ad esempio, adottò una politica protezionista al fine di tutelare le aziende nazionali, essa aiutò queste ultime (trasferendo risorse dai consumatori argentini alle imprese del Paese), ma al tempo stesso danneggiò anche molte attività imprenditoriali. Varie aziende iniziarono a reggere con fatica la concorrenza globale, perché furono costrette a rifornirsi da cattivi produttori locali invece che da migliori fornitori europei, statunitensi, giapponesi, eccetera.
Oltre a ciò, interi settori produttivi argentini che avrebbero dovuto aggiornarsi ed essere ristrutturati, continuarono a vivacchiare nonostante le loro inefficienze e l’incapacità a servire bene il pubblico. In alcuni decenni, quello che era uno tra i Paesi più ricchi del mondo iniziò a scivolare verso il sottosviluppo.
Larga parte della demagogia che domina il dibattito pubblico, sia in Europa sia in Nord America, proviene proprio da questa difficoltà a cogliere la realtà nel suo insieme. Come spiegò a metà Ottocento l’economista Frédéric Bastiat, noi fissiamo l’attenzione su «ciò che si vede» e trascuriamo «ciò che non si vede». E così quando con i soldi pubblici vengono salvati cento posti di lavoro è ben riconoscibile il sollievo portato alle famiglie che non perdono un reddito, ma non è egualmente percepito il danno che viene arrecato a quegli altri lavoratori (in genere, più numerosi) che resteranno senza occupazione perché aziende sane e capaci di fare profitti sono state private dei capitali che avrebbero potuto investire. Per fare un altro esempio, quando nei sistemi previdenziali a ripartizione si innalzano le pensioni l’effetto positivo è subito chiaro a tutti, mentre gli oneri sul lavoro che presto dovranno essere elevati non sono colti in egual misura.
La demagogia ha successo perché enfatizza i benefici di varie iniziative pubbliche (spesa statale, espansione monetaria, protezioni corporative) e quindi richiama la nostra attenzione su «ciò che si vede». Uno dei vantaggi dei sistemi a democrazia diretta, in cui le decisioni passano spesso attraverso una consultazione dell’intera popolazione, è però nel fatto che si ha la possibilità di far ragionare il proprio interlocutore, invitandolo a osservare anche ciò che è nascosto: appunto, «ciò che non si vede». Bastiat sosteneva che «tra un cattivo e un buon economista la differenza è tutta qui: l’uno si limita a cogliere l’effetto visibile; l’altro tiene in considerazione sia l’effetto di ciò che si vede, sia ciò che si deve prevedere».
Così, quando gli Stati Uniti adottarono una politica proibizionista in tema di alcolici, in un primo tempo si constatò l’assenza di whisky nei locali pubblici e nei negozi, ma presto, e lo si poteva immaginare, si dovette fare i conti con un vasto commercio illegale e una criminalità sempre più potente proprio grazie a questa domanda non soddisfatta dai canali legali. Il disastro fu tale che l’America fu costretta a tornare sui propri passi, ma solo dopo che le varie mafie avevano corrotto larga parte della società.
L’analisi di Bastiat è allora fondamentale, perché ci aiuta a ragionare ed essere cittadini responsabili. Ed è per questa ragione che, a novembre, l’Istituto liberale di Lugano dedicherà cinque incontri ogni mercoledì alla lettura degli scritti di questo studioso di straordinaria preveggenza, se si considera che nel suo celebre scritto sulla «finestra rotta» attaccando alcuni studiosi bonapartisti egli mise sotto accusa quella logica macroeconomica che esalta la spesa come motore della vita sociale e sottostima il ruolo del risparmio, dell’iniziativa individuale, delle preferenze soggettive.
Le stesse vivaci discussioni della scena pubblica ticinese — basti pensare alla diatriba sui frontalieri — trarrebbero grande beneficio da una comprensione delle ragioni della riflessione di Bastiat, che oggi inviterebbe ad accogliere quanto più alti sarebbero i prezzi in Ticino e quanto più difficile le condizioni delle imprese se l’economia della regione non potesse avvalersi del contributo di chi attraversa la frontiera. «Ciò che si vede» è la concorrenza salariale tra locali e frontalieri, ma per esprimere un giudizio ragionato bisogna considerare anche «ciò che non si vede», e cioè tenere in considerazione i molteplici benefici derivanti dal lavoro di quanti non sono residenti.
Da Corriere del Ticino, 1 ottobre 2016