Si ritorna a parlare, dopo alcuni mesi, di spending review. E pour cause. Se non si metterà concretamente mano a un serio programma di revisione della spesa pubblica, nel prossimo anno dovremo subire un incremento dell’IVA e delle accise su tabacco e benzina per oltre 13 miliardi, e quasi per 19 miliardi nell’anno successivo. Ve ne sarebbe di che stroncare sul nascere la gracile ripresa economico in corso, che proprio a partire dal prossimo anno, secondo le previsioni più accreditate, dovrebbe finalmente accelerare.
Quell’aumento delle tasse è già scritto nella legge. È conseguenza di un’applicazione del tutto anomala delle cosiddette clausole di salvaguardia. Nate, appunto, per salvaguardare la finanza pubblica da rischi di errori nelle previsioni. Io assumo una decisione di spesa. Come prescritto, devo individuare quale altra spesa tagliare o quale imposta aumentare per finanziare la nuova misura. Ma, siccome so bene che aumenti di imposta o tagli di spesa non è certo producano gli effetti oggi previsti, aggiungo appunto una clausola di salvaguardia, che scatterà se sarà necessario per evitare un peggioramento dei saldi di finanza pubblica.
Ormai, la natura della clausola è diversa: adotto una decisione di spesa; annuncio l’intenzione, solo l’intenzione, di assumere imprecisate misure per finanziarla; ma assicuro che, se non riuscirò a precisarle e approvarle per tempo, scatterà automaticamente un aumento delle imposte.
È evidente che la clausola di salvaguardia nella sua natura originaria era uno strumento per evitare che si formasse nel bilancio pubblico una sorta di deficit, e quindi di debito, occulto. La clausola di salvaguardia nella nuova versione ha invece effetti economici nella sostanza assimilabili alla formazione di nuovo debito pubblico: costituisce una “prenotazione” sui flussi di cassa pubblici futuri, esattamente come lo sarebbe l’emissione di un BTP.
Forse la stagione della finanza pubblica creativa non si è affatto conclusa.
Ma, al di là di giochini contabili, clausole di salvaguardia fantasiose e anticipi di entrate future (la Corte dei Conti li elenca tutti, e a leggerli vien proprio da preoccuparsi: PDF), non si sfugge alla sostanza: se si vuole avviare un programma di riduzione della pressione fiscale, o almeno evitare che aumenti, non vi è altra strada di una vera spending review, che ridefinisca il ruolo delle amministrazioni pubbliche, ne limiti funzioni e compiti, e favorisca processi produttivi dei servizi pubblici più efficienti.
Senza di che, non vi sarà quantitative easing in grado di rimettere stabilmente l’economia italiana sul sentiero della crescita.