17 Luglio 2023
Il Secolo XIX
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Economia e Mercato
Cosa significa lo sciopero dei lavoratori del cinema, che sta paralizzando Hollywood? Dietro le agitazioni – che coinvolgono sia gli attori, sia gli sceneggiatori – ci sono diverse rivendicazioni. Alcune più tradizionali: l’entità e le modalità di determinazione dei compensi, che storicamente si basavano su un parametro che nell’epoca dello streaming non ha più senso, cioè il numero delle repliche. Altre richieste hanno però un sapore differente: i lavoratori chiedono la garanzia che l’intelligenza artificiale non sarà usata per rimpiazzarli, per esempio per ricostruire le voci o i gesti di persone reali.
Il timore della cosiddetta disoccupazione tecnologica, insomma, ha raggiunto i piani alti (o quasi) della piramide sociale. Questa volta in piazza non ci sono gli operai o le cassiere dei supermercati che temono di essere sostituiti dalle macchine, ma una categoria (relativamente) benestante e (certamente) molto visibile. Ed è una contraddizione per certi versi stridente, quella che vede i lavoratori del palcoscenico imbracciare il più novecentesco degli strumenti di protesta per opporsi alla più avveniristica tra le novità.
Per comprendere la questione, bisogna anzitutto comprendere chi sono i manifestanti. Non si tratta delle superstar, le attrici e gli attori i cui follower si contano in centinaia di milioni e che quindi non possono essere facilmente rimpiazzati. Al contrario, hanno incrociato le braccia i professionisti di medio o basso livello, che interpretano parti secondarie o che fanno le meteore azzeccando una parte in un film di successo salvo poi sparire ed essere ricordati solo per quello.
La loro preoccupazione è comprensibile. Come in altri settori, l’automazione tende a colpire i lavori più ripetitivi e routinari, che non hanno un particolare contenuto di umanità (intesa sia come intelligenza immaginativa, sia come empatia) . È stato così in molti altri casi, dai casellanti delle autostrade agli sportellisti delle banche fino ai carrettieri. Finora i professionisti e i lavoratori creativi o intellettuali si erano sentiti al riparo e, forse, avevano anche irriso coloro che erano intimoriti dallo spettro del progresso, paragonandoli ai luddisti che distruggevano i telai meccanici agli albori della rivoluzione industriale. Ora che sono loro stessi insidiati dalle nuove macchine, improvvisamente invocano contromisure draconiane per proteggersi dall’innovazione.
Le loro richieste sono comprensibili ma difficilmente possono trovare una risposta. Ci sono almeno due aspetti. Uno riguarda la situazione specifica. La letteratura sugli effetti occupazionali del progresso tecnologico suggerisce che l’automazione raramente travolge i “lavori”: più spesso fa piazza pulita di specifiche mansioni, particolarmente ripetitive o prive di originalità, nelle quali la macchina ha un ovvio vantaggio competitivo sull’essere umano. Questo non significa che l’occupazione dovrà risentirne negativamente: i lavori cambiano come sono sempre cambiati. Ma l’occupazione, nel suo complesso, tende a crescere nonostante (o proprio per) l’innovazione.
Certo, l’impatto sui singoli può essere significativo, in positivo o in negativo, ma mentre alcune professionalità saranno meno richieste o meno remunerate, altre lo saranno di più. In altre parole, se l’intelligenza artificiale prenderà piede nel cinema ci sarà per esempio meno bisogno di comparse e più bisogno di grafici. Il che non significa che sarà facile (o persino possibile) trasformare le comparse in grafici, ma che – in senso generale – come società non dovremmo avere paura del progresso.
L’altro aspetto è più generale e riguarda proprio l’intelligenza artificiale. Molti hanno manifestato preoccupazione su più livelli, non solo legati all’impatto occupazionale o economico in senso stretto, ma anche alle sue conseguenze sulla concorrenza o la standardizzazione dei prodotti o addirittura sulla qualità del dibattito democratico. Da qui nascono anche i tentativi più o meno ordinati di regolamentare queste tecnologie (si pensi all’intervento a gamba tesa del Garante della Privacy su ChatGPT).
Possono esserci delle questioni genuine ma esse hanno più a che fare con l’impatto sistemico delle tecnologie che con le loro applicazioni nei contesti specifici. La domanda che dovremmo porci è se l’innovazione innescata dall’intelligenza artificiale comporta più costi o più benefici; più rischi o più opportunità; e come e quanto gli impatti per gli individui sono controbilanciati da effetti su scala più ampia, che riguardano l’intera collettività.
Lo sciopero degli artisti riflette la difesa dei propri interessi da parte di una categoria, e in tale contesto va calato e compreso. Ma pone anche un tema più ampio, cioè l’atteggiamento – di resistenza o di apertura – che vogliamo e possiamo avere nei confronti del progresso.
dal Secolo XIX, 15 luglio 2023