Come garantire un reddito per tutti

Un reddito di cittadinanza avrebbe il vantaggio di limitare drasticamente gli spazi dello «scambio politico»: un assegno per tutti, e ognuno ci faccia quel che vuole

30 Dicembre 2015

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La città di Utrecht e altri diciannove comuni, in Olanda, hanno deciso di fare qualche esperimento con il reddito di cittadinanza. Si metterà in pratica una sorta di «somministrazione controllata».

Si comincerà con una limitata platea di beneficiari, in piccoli gruppi, per verificare l’effetto che fa.

Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere un assegno percepito da tutti per il solo fatto di essere «cittadini» di un certo Paese. Non, cioè, un sostegno «condizionato» a situazioni ben precise (per esempio la disponibilità alla ricerca di un posto di lavoro) e nemmeno una «garanzia» offerta a particolari categorie di persone (i pensionati che non raggiungono un certo reddito, quanti hanno problemi di invalidità, eccetera).

Si sente spesso dire che l’Italia è l’unico Paese europeo a non disporre di uno strumento simile. In realtà, come ha spiegato Giovanni Boggero («Reddito di cittadinanza. Un’alternativa non un obbligo», www.brunoleoni.it), nessun Paese in Europa prevede un reddito di base incondizionato. Quello olandese è per l’appunto un esperimento. Curiosamente, è un esperimento senza nome: gli stessi promotori dell’iniziativa hanno spiegato al Guardian di non aver usato la locuzione «basic income», perché «la gente pensa che sia solo una mancia e che le persone se ne staranno a casa e guarderanno la tv». Gli olandesi vorrebbero appunto dimostrare che non è questo il caso: che, cioè, la possibilità di percepire un reddito quali che siano le proprie attività non svuota fabbriche e uffici.

Le risultanze dello studio andranno lette con attenzione, anche se è improbabile siano risolutive. Le dimensioni dei gruppi di percettori del reddito di cittadinanza, le loro caratteristiche professionali, la cultura in essi prevalente sono tutti fattori che avranno un peso.

Più in generale, è curioso come l’idea di un reddito per tutti faccia fatica ad attecchire: al punto da aver bisogno di un travestimento, anche in società così affezionate all’idea di una pesante redistribuzione.

La questione è che il reddito di cittadinanza fa a pugni con una intuizione morale che ha radici profonde: «chi non vuol lavorare, neppure mangi».

La più parte di noi vorrebbe un mondo in cui i salari raccontassero i «meriti e gli aiuti i bisogni».

Accettiamo, eccome, eccezioni al principio. Siamo convinti che determinate «garanzie» e «diritti» (cioè: certi servizi) vadano offerti a tutti, a spese dei contribuenti. Ma siamo altrettanto persuasi che questi «diritti» debbano essere alcuni e non altri. Lo Stato sociale ha un’anima paternalista. Bisognava costringere i bambini ad andare a scuola, perché da soli i loro genitori non ce li avrebbero mandati. Bisognava costringere la gente a risparmiare per la vecchiaia, perché tutti tendono a sottostimare le proprie necessità future.

Sommare «reddito di cittadinanza» e Stato sociale è impossibile: equivarrebbe alla desertificazione fiscale della nostra società.

Altra cosa sarebbe se il reddito di cittadinanza sostituisse lo Stato sociale. Se i salari debbono corrispondere ai «meriti» e gli aiuti ai «bisogni», dev’esserci qualcuno che definisca gli uni e gli altri. È una funzione che la classe politica reclama per sé. Così, le intenzioni benevole dei paternalisti si trasformano in uno straordinario meccanismo per costruire consenso.

Le categorie scambiano i «diritti» loro attribuiti col sostegno a questo o quel partito. Non c’è socialdemocrazia nella quale la redistribuzione delle risorse avvenga senza coinvolgere grandi apparati burocratici, che ne incamerano parte. La solidarietà diventa il regime dei favori.

Un reddito di cittadinanza avrebbe il vantaggio di limitare drasticamente gli spazi dello «scambio politico»: un assegno per tutti, e ognuno ci faccia quel che vuole.

Aiutare chi ha bisogno e solo chi ha bisogno ci appare istintivamente più ragionevole. Ma se la classe politica allarga la categoria di «bisogno» a seconda delle convenienze, forse un «reddito per tutti» è il naturale punto d’approdo delle socialdemocrazie: nel senso che, di aiutino in aiutino, davvero tutti rischiamo di abituarci a vivere alle spalle degli altri. Trasformando i servizi in aiuti in denaro, risparmieremmo almeno sui professionisti della redistribuzione.

Da La Stampa, 30 dicembre 2015

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