Del declino politico elettorale del centrodestra molte possono essere le cause, ma essenzialmente si tratta di tre questioni: di uomini, di idee e di cultura. Di uomini nel senso che non si può essere legati ai propri interessi, a quelli di un capo o di una cordata. Bisogna poi comprendere che il dato fondamentale, storicamente acquisito ormai, è che siamo passati da un modello di partito ideologico a un modello post-ideologico. Oggi, cioè, il partito politico non è più visto e vissuto (per fortuna) come fonte di unità ultima e definitiva, ma come sorgente di proposte che mirano alla concreta soluzione dei problemi sociali: la sanità, la scuola, le tasse, il traffico, l’immigrazione, l’informazione, la bioetica, ecc. Quali soluzioni ha proposto il centrodestra in questi ultimi vent’anni?
Quale problema è stato affrontato in modo liberale, secondo l’ottica per cui ci vuole più società civile e meno Stato? Per lunghi tratti di questo ventennio la destra è stata in qualche modo guidata da Silvio Berlusconi, che porta la maggiore responsabilità degli insuccessi, ma gli altri dove stavano? Dove stavano i cittadini liberali, la società civile, le associazioni? E che dire degli intellettuali che battevano le mani, stavano in disparte o si tenevano stretti alla greppia del potere? Se il potere politico non è in grado di risolvere i problemi, finisce nel clientelismo e nella corruzione, e questo è precisamente ciò che il centrodestra deve evitare e mettere da parte se vuole tornare a essere competitivo nel panorama italiano.
Vi è poi la più generale questione del rapporto tra politica e cultura. Nel campo liberale, la cultura deve essere per definizione piena di dubbi: il che vuol dire che non possono esserci intellettuali “organici”, che poi vuol dire servi del potere. Premesso questo principio fondamentale e imprescindibile, sorge comunque la domanda di dove sia andato a finire, dove si sia disperso il patrimonio di idee liberali che nel 1994 sembrava avere unito un gruppo di persone entusiaste e pronte a contribuire al bene comune. Oggi si contano sulle dita di una mano i centri culturali che preservano e diffondono quel patrimonio. Citerei alcune case editrici come la Rubbettino o l’Istituto Bruno Leoni, per il resto vedo il deserto, e questo spiega in gran parte l’assenza di forze politiche liberali in Italia. In fondo, come diceva Einstein, “le idee sono la cosa più reale che esista al mondo”: se le eliminiamo cosa resta? Che compito si riserva una politica ridotta in questo stato?
La legge elettorale conferma questo. L’Italicum maleodora di Porcellum: è una legge che consente a 4 o 5 Caligola al comando di nominare chi, a quel punto, gioco-forza rispecchia più gli interessi del gruppo di comando che lo ha scelto che del collegio elettorale che dovrebbe rappresentare. In questo modo si accentua la distanza tra politica ed elettori, ma il problema non sorge con questa legge elettorale, bensì con quella precedente, che fu scelta dal centrodestra il Porcellum appunto. Un non sense dal punto di vista liberale. Il “metodo Renzi” potrebbe rappresentare una buona ricetta, a questo punto: primarie per scegliere gli uomini migliori. Che, sottolineo, dovranno essere né voraci né incompetenti. Non voraci per ovvi motivi già sottolineati, non incompetenti perché solo un centrodestra competente può fare da pungolo efficace, in una sana dialettica, a un Partito democratico che ha il 40% dei voti.
Con quali proposte? Si potrebbe partire da due grandi temi: la scuola e l’informazione. Alla metà degli anni Novanta il tema della libertà di insegnamento e del “buono scuola” lanciato da Milton Friedman e ribadito da von Hayek era tornato prepotentemente alla ribalta. La campagna a favore del buono scuola sottolineava che la libertà di insegnamento nasce dalla competizione tra scuola privata e scuola pubblica come forma di collaborazione. Si mirava cioè a far nascere questa sana competizione per migliorare sia la scuola pubblica sia quella privata. Ebbene, quella battaglia fu persa. Ma cosa ne è rimasto? Nel centrodestra nessuno ne parla più, nessuno sembra, non dico intenzionato, ma neppure in grado di riprenderla.
Altro tema fondamentale su cui spingere il Paese al confronto su tematiche liberali è quello dell’informazione. E l’assunto liberale è che “la verità non sopporta padroni”. E invece abbiamo un sistema televisivo che risponde non al pubblico ma al partito o capo corrente, e dunque facendo venire meno la funzione fondamentale del servizio pubblico che è quella di sottoporre i governanti al controllo dei governati. Qui succede piuttosto il contrario: sono i governanti a orientare e controllare il pensiero dei governati! E lo fanno attraverso trasmissioni che non sopportano il contraddittorio, ovvero dove si sostiene una tesi preconfezionata. È proprio li che dovrebbe entrare il vero pluralismo liberale: non un confronto fra testate e programmi, ma all’interno di testate e programmi. Perché per esempio non chiedere a gran forza che vengano trasmesse in diretta le sedute parlamentari su temi di grande rilevanza per l’opinione pubblica? Che in tal modo, sarebbe meglio e più informata, più attiva, più critica, più stimolata a verificare il comportamento degli eletti e aiutata in questo da una televisione veramente pluralistica. Una migliore informazione potrebbe inoltre fare molto su piani importanti e strategici per la comunità, diffondendo e promuovendo la ricchezza culturale del Paese, gli scambi con il resto del mondo, la consapevolezza dei temi realmente importanti dell’agenda europea quelli dell’energia, dell’immigrazione, del diritto penale comune, quelli cioè che toccano l’interesse dei cittadini e non sono frutto della mania costruttivistica dell’Unione europea.
Non mi sorprendo che in quest’ottica poco o nulla abbiano da dire o dicano gli eredi dell’esperienza berlusconiana e il centrodestra come è oggi strutturato, con i suoi parliti da Forza Italia a Ncd, dalla Lega a Fratelli d’Italia. Mi sorprende di più l’inconsistenza del mondo cattolico non il popolo, ma l’élite politico-culturale cattolica passata dalla diaspora all’assenza. Sembra infatti essersi risolto in un completo fallimento il progetto di Todi, e tutto quell’imponente fermento che ha già salvato l’Italia nel dopoguerra e che lo sta salvando ancora oggi dallo spettro della povertà (si pensi a quello che fa la Caritas per i poveri e nei centri di prima accoglienza), sembra oggi del tutto afono politicamente.
Da Formiche, settembre 2014