Se proprio si devono scacciare i mercanti dal tempio, le regole dovrebbero riguardare tutti
Che differenza c’è tra un cittadino e un suddito? Gli uni sono uguali di fronte alla legge; gli altri vivono in una costante condizione di disparità rispetto al sovrano. Alcuni anni fa, IBL Libri ha pubblicato un libro intitolato “Sudditi”, a cura di Nicola Rossi: l’idea era quella di mostrare, attraverso analisi generali e casi studio, che nel nostro ordinamento è scolpita una inaccettabile disuguaglianza nel modo in cui le regole affrontano situazioni apparentemente simili, a seconda che esse riguardino i privati cittadini o soggetti pubblici. Successivamente, siamo tornati sul tema con un secondo volume, “Noi e lo Stato”, a cura di Serena Sileoni. Sostenevamo, allora, che “lo spread più preoccupante fra l’Italia e i suoi principali partner occidentali” riguarda proprio il rapporto tra lo Stato e i cittadini, che si fonda su norme e principi che sarebbero impensabili se applicate nei rapporti tra privati. Mai, però, avremmo immaginato di trovarci di fronte a una vicenda così paradossale come quella della delibera del Comune di Firenze relativa alla sponsorizzazione dei lavori di restauro.
Come riferisce il quotidiano “La Nazione”, il Tar della Toscana dovrà a breve dirimere un caso sollevato da Vivenda, società specializzata nei restauri sponsorizzati. Attraverso le maxi affissioni sulle facciate dei palazzi storici, l’azienda riesce a contenere i costi dei restauri, quindi facilitandone l’esecuzione. La questione specifica riguarda l’avvio dei lavori su un palazzo collocato proprio a fianco della loggia dei Lanzi. Il problema sta nell’adozione, da parte di Palazzo Vecchio, dei recenti emendamenti apportati al regolamento sulle esposizioni pubblicitarie. Da un lato, esso vieta qualunque esposizione pubblicitaria nelle ubicazioni di Piazza Duomo, Piazza San Giovanni e Piazza della Signoria, cioè nella zona di maggior pregio della città. Dall’altro, però, esenta da questo stesso divieto “i cantieri finalizzati al restauro del patrimonio di cui all’art.10, comma 1, del Codice dei Beni Culturali”, cioè, sostanzialmente, quelli eseguiti dal Comune o da altri soggetti pubblici.
La prima decisione è del tutto illogica; la seconda è odiosa. Garantire un buono stato di manutenzione dei palazzi di maggiore prestigio dovrebbe essere uno dei principali obiettivi di una città come Firenze. E, dati gli elevati costi dei lavori, l’utilizzo dei ponteggi anche ai fini pubblicitari è uno strumento importante per incentivare quel tipo di interventi, sia pubblici sia privati. Sfugge completamente, dunque, la ragione per cui in quest’ultimo caso tale opportunità debba essere depennata. Ma la cosa si fa del tutto intollerabile di fronte all’eccezione per i lavori pubblici: se il tema è scacciare i mercanti dal tempio (cioè le reclame dalle facciate), allora dovrebbe riguardare tutti – sarebbe un gesto insensato ma almeno coerente. Se però la decisione è asimmetrica, allora in ballo non c’è un principio ma un abuso.
Spetta ai giudici amministrativi dire se il regolamento fiorentino è giuridicamente fondato (e noi speriamo che lo rigettino). Ma dal punto di vista politico, esso dice tutto quello che c’è da dire sul declino del nostro paese.