Vi sarà capitato sicuramente. Qualche vostro conoscente, presunto colto, qualche opinionista dotato sempre della frase giusta, che rimprovera l’esistenza di «politiche neoliberiste». Il vero cancro di questo secolo. Ecco. Abbiamo l’antidoto. È un papiello, di una ventina di pagine, intitolato «L’Invenzione del neoliberismo» di Alberto Mingardi, e che uscirà nel prossimo numero della rivista Nuova Storia Contemporanea diretta da Francesco Perfetti.
Intanto fate subito fare una grigia al vostro interlocutore presunto colto, certamente de’ sinistra. Il cretinetto addossa al neoliberismo le colpe più truci, ma fondamentalmente tutte legate alla libera determinazione delle forze del mercato. Ebbene il termine neoliberismo (chiedeteglielo, chiedeteglielo se lo sa) nasce proprio al contrario come mitigazione sociale del liberalismo classico. Insomma semmai, per chi scrive, si tratta di una corruzione dei principi classici del laissez-faire e della laissez-passer. A partire dalla fine della prima guerra mondiale si inocula il virus politico dell’intervento di Stato, e una parte cospicua del pensiero liberale, ci ricorda Mingardi, «costretto alla difensiva dall’imporsi delle grandi ideologie di massa, nazionalismo e socialismo, introietta al suo interno la narrazione della rivoluzione industriale, fatta di ingiustizie sociali, dei loro avversari». L’obiezione dunque è che semmai il neoliberismo novecentesco ha ammosciato un pensiero forte, basato sull’ordine spontaneo e sull’eterogenesi dei fini, che fa del liberalismo classico ancora un forza della natura.
A questa prima obiezione, per così dire filologica, sulla presunta pericolosità del neoliberismo, Mingardi ne associa molte altre. Abbiamo intanto capito il raggio d’azione. La critica più che al neo-liberalismo, sarebbe stata tecnicamente più corretta muoverla al liberalismo senza neo. Andiamo al dunque. La questione nominale poca sposta il problema e la sostanza: le politiche liberali aumenterebbero, è la critica di moda oggi, le diseguaglianze. Il ragionamento che segue e cioè che le medesime diseguaglianze comprometterebbero la crescita, non è trattato nel papiello. Ma pur restando alla prima critica, Mingardi fornisce molti strumenti dialettici e numerici per dimostrare come quest’ultima affermazione sia falsa. Le diseguaglianze sarebbero magicamente cresciute grazie al neoliberismo ma, nota Mingardi, «se pensiamo a come ciascuno di noi valuta la qualità della vita e la sua evoluzione nel tempo, non ci viene in mente la nostra dichiarazione dei redditi: ma le cose che ci possiamo o non ci possiamo permettere». Vaglielo a spiegare a quei materialisti storici dei nostri intellettuali che da decenni hanno importato anche in Italia la leggenda nera del neoliberismo.
Da Il Giornale, 15 febbraio 2016