«Oggi non ne parlo, altrimenti mi deprimo». L’ennesima frenata alla legge sulla Concorrenza lascia senza parole il ministro dello Sviluppo. Ieri la Camera ha approvato quattro modifiche che costringono il provvedimento a tornare al Senato per la quarta lettura. «A più di 850 giorni dalla sua presentazione da parte del governo Renzi, per Carlo Calenda questo rinvio «è difficilmente comprensibile e rischia di trasmettere l’ennesimo segnale negativo».
Una delusione acuita dal fatto che i quattro emendamenti sono tutti targati Pd, che non li ha ritirati (come invece ha fatto Ala) dopo che il ministro Anna Finocchiaro aveva comunicato in Aula la contrarietà del governo a porre la fiducia. Non solo, gli emendamenti «hanno un carattere di mera chiarificazione che non mette in discussione la sostanza del provvedimento».
Insomma, non che avesse avuto rassicurazioni ufficiali sul via libera, ma questa volta Calenda ci sperava, anche perché i fili dei rapporti con il segretario Pd si stavano riallacciando dopo il grande gelo, più che altro in vista dei futuri passaggi elettorali. Dunque, la mossa del Pd appare di difficile comprensione. La replica viene affidata a un post del presidente dem, Matteo Orfini: «Questa è la verità dei fatti: abbiamo migliorato un testo che in alcuni passaggi creava problemi invece di risolverli. Lo abbiamo fatto nell’interesse dei cittadini». Una spiegazione secca, che dalle parti del Mise non convince molto, anche perché era stata ribadita la disponibilità ad affrontare in sede attuativa i punti sollevati dagli emendamenti (che riguardano energia, assicurazioni, telemarketing e società di odontoiatri). «Vedremo se gli impegni ad approvarlo rapidamente al Senato troveranno riscontro», avverte il ministro. Che le cose si mettessero male lo si era capito quando il sottosegretario al Mise, Antonio Gentile, si era visto rifiutare la fiducia al provvedimento. Un segnale politico preciso a Calenda, ragionano i parlamentari di maggioranza: è sostenuto dall’ala centrista del governo e il Pd lo vuole isolare. Versione, naturalmente, smentita dai vertici del Nazareno.
Al di là della schermaglia politica, la nota dolente è che l’approvazione del ddl Concorrenza è oggetto di una delle raccomandazioni Ue all’Italia, che saranno valutate anche al momento delle trattative sulla legge di Stabilità. Dalla Commissione nessun commento ora, la partita si giocherà soprattutto in autunno, ma a Bruxelles c’è chi nota come l’ennesimo segnale dell’inaffidabilità italiana sia arrivato nelle stanze che contano.
«I nostri partner europei rileva Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni hanno un cliché del politico italiano litigioso e inaffidabile, non facciamo molto per smentirlo». Senza contare che «sarebbe più onesto dire che i nostri legislatori preferiscono rappresentare solo chi beneficio di protezioni corporative». Ma questo ping pong parlamentare, sottolinea, «è indecoroso» anche perché produce un danno economico «per tutti quelli che aspettano la legge sulla Concorrenza per capire cosa fare delle proprie ambizioni imprenditoriali».
Da Il Giorno, 23 Giugno 2017