Anche Hitler era contro i ricchi

Se non si crea ricchezza non ce n'è per nessuno

11 Dicembre 2021

Italia Oggi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Dàgli ai ricchi! Il ’68 recò con sé la polemica contro ricchezza e ricchi, con vibranti atti che andavano ben oltre l’aspetto fonico. Non stupisce, quindi, il titolo attribuito al volume di Rainer Zitelmann, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, Ricchi! Borghesi! Ancora pochi mesi!, per chiarire «come e perché condanniamo chi ha i soldi».

Una constatazione è condivisibile: i ricchi, o tali presunti, sono forse l’unica minoranza contro la quale si reputa accettabile spargere odio negli spettacoli televisivi senza che nessuno si arrabbi. Particolare, quest’ultimo, davvero unico. I ricchi non hanno preoccupazioni materiali e sono senza dubbio ampiamente ammirati, ma l’invidia e l’ostilità nei loro confronti rappresenta l’altro lato della medaglia che li riguarda.

È verosimile guardare al denaro come bersaglio del moralismo, specie spicciolo, senza dimenticare Jorge Bergoglio, monotematico progressista, nauseato contro la Chiesa della «classe media» redarguita in Corea. Il suo è uno schierarsi a favore di migranti e movimenti popolari (popolarismo, non populismo, secondo la sua visione), e ovviamente contro la ricchezza: non è un caso l’appoggio al «cardinale Bolletta» che saldò i conti a occupatori abusivi.

Molto diffuse sono credenze come la «somma zero», secondo la quale il guadagno di una persona significa la perdita di un’altra, ovviamente di chi esprime tale giudizio. Altrettanto va detto per il ricco giudicato capro espiatorio, secondo un esempio costantemente perseguito da Adolf Hitler, e per la spiegazione del successo come frutto di circostanze esterne piuttosto che di capacità individuali. I ricchi «giocano con le carte truccate» è un’espressione che sinteticamente permette di capire molti atteggiamenti.

La lotta ai ricchi, secondo George Gilder (Ricchezza e povertà), ha conseguenze pesanti: «in ogni continente e in ogni epoca i popoli che si sono distinti nel creare ricchezza sono stati vittime di alcune delle più grandi brutalità perpetrate dalla società». Gli esempi vanno dall’olocausto degli ebrei in Germania ai pogrom dei culachi in Russia, senza dimenticare la fuga da Cuba e dall’Indocina di gran parte del capitale umano ed economico, nei tardi anni settanta. Va rilevato che «le minoranze prese di mira sono state oggetto di pregiudizi molto prima di essere annientate o allontanate».

l risentimento generale verso i ricchi, derivato sovente dall’invidia sociale, è stato dannoso per l’intera società. Antonio Martino ha paragonato Svezia e Svizzera, per rilevare quanto la politica fiscale svedese (guidata proprio dall’invidia) abbia danneggiato pesantemente l’economia del Paese, rimasto lontano dallo sviluppo elvetico.

Può essere curioso paragonare i coefficienti d’invidia sociale, elevati in Francia (1,26) e in Germania (0,97), minori negli Usa (0,42) e nel Regno Unito (0,37), medio in Italia (0,62).

Gli americani più giovani si dimostrano critici verso i ricchi ben più degli anziani, in ciò rispondendo a talune situazioni politiche, fra le quali l’arrivo del socialismo, prima respinto e detestato perfino come nome (di matrice europea). Infatti un americano su due oltre i 60 anni giudica rispettabili i ricchi.

In Italia il 42% crede che gli imprenditori meritino la loro ricchezza, mentre soltanto il 15% la pensa allo stesso modo per gli ereditieri. In fondo a questa «scala di popolarità», così definita per attestare in realtà quando sia diffusa l’impopolarità, stanno gli investitori immobiliari (10%) e i banchieri (8%). Nei sei Paesi europei studiati e negli Stati Uniti, gli imprenditori e i lavoratori autonomi sono stati ritenuti i più meritevoli per le ricchezze, ma persone creative, artisti, attori, musicisti, atleti, perfino vincitori della lotteria, si ritiene si siano giustamente meritati la propria condizione economica. I banchieri sono giudicati nella maniera più negativa: non meriterebbero le loro ingenti entrate.

All’opposto, in Cina i banchieri sono in testa nell’apprezzamento. Le persone invidiose sono più propense a pensare che i vantaggi siano meritati quando sono la conseguenza della fortuna e del caso piuttosto che dell’impegno e delle abilità personali: tale fatto non depone a favore del lavoro del singolo.

da Italia Oggi, 11 dicembre 2021

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