24 Febbraio 2016
Il Foglio
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
All’indomani delle due guerre mondiali, tra molte macerie materiali e morali, gli europei pensarono di costruire istituzioni comuni volte a evitare simili conflitti. L’Europa mosse i suoi primi passi guardando all’acciaio e al carbone, ma l’obiettivo vero era darsi una politica estera unitaria che scongiurasse le guerre. In quella direzione, però, si è fatto poco o nulla.
I raid americani in Libia, e le reazioni slegate delle cancellerie europee, confermano oltre ogni dubbio che una difesa europea semplicemente non esiste. Questo non significa, però, che l’Europa negli ultimi cinquant’anni non sia cresciuta per rilievo e importanza, dato che la strategia di molti tra gli architetti dell’unificazione continentale è spesso consistita nell’avviare un’armonizzazione che muovesse da alcune fondamentali istituzioni politiche ed economiche.
Passo dopo passo, l’Unione si è dotata di un bilancio, un governo direttoriale, un Parlamento, una legislazione unitaria e, soprattutto, una moneta. L’euro è stato frutto di tante spinte, ma una delle più importanti venne dal progetto di porre il carro davanti ai buoi, nella speranza che una valuta europea possa spingere verso gli Stati Uniti d’Europa. Oggi possiamo dire che creare un “club della moneta unica” ha posto le premesse per i commissariamenti in atto e per quelli alle porte. Fissare regole comuni che alcuni attori sono incapaci di rispettare e impostare un sistema ridistributivo di aiuti ha finito per contrapporre i conti pubblici e la volontà popolare: e così ad Atene hanno votato contro quell’austerità che Alexis Tsipras è stato comunque costretto ad accettare. L’euro ha rafforzato l’Europa che molti detestano: quella dei burocrati, dei banchieri centrali, dei costruttori di una cittadinanza comune anche in assenza di un’opinione pubblica europea. E oggi ha consenso chiunque spari ad alzo zero contro l’Unione. Siccome la storia si nutre degli avvenimenti più imprevedibili, adesso però ci si trova pure a fare i conti con un’ondata di immigrati che ha dissolto gli accordi di Schengen.
A questo punto gli europei sono dinanzi a un trilemma, ossia a tre possibili strade. La prima opzione consiste nel continuare a credere nei sogni alla Altiero Spinelli e alla Jean Monnet, così come furono anche “cristallizzati” nel 2003 in un articolo scritto a quattro mani da Jurgen Habermas e Jacques Derrida per la Frakfurter Allgemeine Zeitung, in cui si sottolineava come l’identità europea poggiasse sulla preferenza per lo stato contro il mercato. E’ esattamente questo dirigismo, però, che sta alimentandol’euroscetticismo a ogni latitudine.
Un’altra possibilità è che dopo lo sfaldarsi di Schengen si assista al venir meno di un’importante conquista di questi anni: quel mercato unico che tanti benefici ha portato alle imprese e alle famiglie. Ritornare entro piccoli mercati nazionali sarebbe disastroso, toglierebbe opportunità a tutti e darebbe rilevanti benefici solo ai nuovi soggetti sussidiati dalle protezioni. Non è affatto detto che la Brexit parziale sostenuta da David Cameron conduca a quest’esito, come non necessariamente porta a ciò la stessa uscita di Londra dall’Unione (auspicata dall’Ukip e pure da molti conservatori), dato che gli inglesi potrebbero comunque adottare una strada “elvetica”: sottoscrivendo accordi bilaterali che salvino l’area di libero scambio e boccino le direttive. Se guardiamo a molti discorsi di chi oggi s’oppone all’Europa, però, il rischio di chiusure nazionalistiche appare in qualche modo realistico.
Per evitare tale esito dovrebbe prendere forza una terza posizione: contraria a ogni artificiosa sovranità continentale, ma favorevole all’integrazione economica. E’ la prospettiva di governi locali e mercati globali, che accetti perfino processi di devoluzione interna (e anche soluzioni radicali: come nel caso catalano), difendendo però il mercato comune e anzi favorendo una crescente apertura, dato che oggi l’Europa è davvero piccola cosa entro il quadro mondiale.
Alla fine del Medioevo, l’Europa delle città libere e dei mercanti che ha inventato il capitalismo è cresciuta sapendo proprio coniugare governi vicini ai cittadini e mercati proiettati in ogni direzione. Oggi sapremo di nuovo essere tanto saggi?
Da Il Foglio, 24 febbraio 2016