Controllare così significa soffocare

Esiste una totale sfiducia nei riguardi del libero mercato e un'irragionevole fiducia verso i burocrati

15 Maggio 2017

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

I dati presentati dalla Cgia di Mestre sulla quantità di controlli a cui è sottoposta una qualunque azienda, piccola o grande, e sul numero esagerato di agenzie incaricate di vigilarne l’operato, ci descrivono un’Italia soffocata dalla burocrazia.

Se siamo in questa situazione le ragioni sono varie. Nonostante uno dei temi più discussi sia proprio quello delle liberalizzazioni (e quindi dell’alleggerimento degli oneri normativi che gravano sull’economia), è ugualmente vero che la nostra società è ossessionata dal tema della sicurezza. E, oltre a ciò, molti pensano che per vivere in una società meno esposta a rischi si debba rafforzare il ruolo ispettivo dello Stato, accrescendo controlli di vario tipo.

In parte, queste ispezioni sono orientate a tutelare lo Stato stesso: come nel caso delle norme fiscali. Molti dei controlli che interessano le aziende italiane hanno un’origine tributaria, anche quando non sono espressamente definiti come tali. Ed è ovvio che uno Stato indebitato fino al collo è quasi costretto a monitorare ogni iniziativa e inseguire ogni euro.

Oltre a ciò, vi è una totale sfiducia nei riguardi del libero mercato e un’irragionevole fiducia verso i burocrati. Altrove si pensa che per tenere alta la qualità dei prodotti e dei servizi (e anche per assicurare buone condizioni ai lavoratori) la strategia fondamentale consista nel garantire la massima competizione, così da favorire la crescita economica. In una società dinamica e concorrenziale, quanti lavorano male e offrono impieghi di bassa qualità sono rigettati da consumatori e lavoratori. Viceversa, quali che siano le leggi e le agenzie di controllo, in una società declinante e senza competizione è quasi fatale che la sicurezza sui posti di lavoro sia poco garantita e che i prodotti offerti al pubblico siano scadenti.

Lo studio della Cgia ci fa quindi capire che si può certamente migliorare la situazione attuale modificando le normative (spesso scritte male e suscettibili di varie interpretazioni), accorpando le competenze, razionalizzando il sistema. Ma per avere un’economia più libera e meno sottoposta a controlli da parte di funzionari che sono esseri umani, e quindi non sempre illuminati (d’altra parte, qui come sempre, è necessario chiedersi chi possa davvero controllare i controllori…), quello di cui c’è bisogno è una vera rivoluzione culturale. È necessario comprendere come la libertà possa garantirci assai più di quanto non faccia il potere arbitrario degli uomini dello Stato.

Il mercato è imperfetto e non possiamo pretendere che ci conduca in un mondo senza difetti. Ma anche le burocrazie lo sono e, l’abbiamo appreso a nostre spese, molto di più. Se allora vogliamo aiutare le imprese, e specialmente le piccole e le medie, dobbiamo sapere che è necessario cambiare strada. L’Italia muore di tassazione, ma la nostra economia è pure penalizzata da normative che chiudono troppi spazi alla libera iniziativa e permettono abusi di ogni tipo. Andando avanti così, non avremo un futuro.

Da Il Giornale, 14 maggio 2017

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