"Convivere con il rischio"

C'è bisogno di più responsabilità e l'espansione dello Stato si accompagna a un venir meno della responsabilità personale

11 Gennaio 2017

Business People

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Su quali aspetti occorre porre l’accento quando si parla di “Fear Economy”?
Nella società occidentale contemporanea, la paura ha numerose radici. Molti temono il terrorismo, anche in maniera irrazionale, dato che il numero dei morti (a oggi) è relativamente limitato e molte attività liberamente scelte generano assai più tragedie della jihad. Altri temono l’immigrazione, perché associano i nuovi venuti che spesso fuggono da terribili teatri di guerra a una crescente incertezza (a violenza e disordine) e pensano pure che questi nuovi poveri possano entrare in competizione con loro nella ricerca di taluni posti di lavoro e benefici del welfare. C’è, poi, anche la paura di quanti guardano i dati strutturali delle nostre economie (debiti pubblici, prospettive pensionistiche, difficoltà di un’economia che cresce pochissimo) e quindi vedono un futuro non roseo.

È sempre una percezione fondata?
Talvolta è sbagliato farsene dominare: dopo I’11 settembre, molti americani preferirono utilizzare l’automobile per muoversi, rinunciando al volo, e il numero di morti e feriti in incidenti stradali salì in maniera esponenziale. Con i terroristi o senza, spostarsi da una parte all’altra degli States è meno rischioso se si usa l’aereo anziché l’automobile. In altre occasioni, però, quella che viene definita ‘paura è in realtà l’espressione di un atteggiamento molto razionala Non pochi economisti di scuola keynesiana, per esempio, puntano il dito sui comportamenti prudenti degli attori economici contemporanei, accusando questa attitudine di essere foriera della stasi che stiamo conoscendo. Come detto, vi sono anche timori del tutto giustificati. Politiche pubbliche di spesa facile e politiche monetarie espansive ciò che governi e banche centrali stanno facendo un po’ ovunque non possono rassicurare le imprese e i capitali, che si comportano di conseguenza.

Che ruolo hanno le nuove tecnologie e I social media in tale ambito?
L’innovazione ci porta in un mondo sconosciuto: noi siamo attratti dal nuovo e al tempo stesso, però, lo temiamo. Molto tempo dopo il luddismo (movimento di protesta operaia, sviluppatosi all’inizio del XIX secolo in Inghilterra, caratterizzato dal sabotaggio della produzione industriale, ndr) e a dispetto dei grandi benefici derivanti dalla Rivoluzione industriale, c’è ancora chi è spaventato dallo sviluppo delle tecnologie, nella convinzione che l’automazione non riduca la fatica, ma elimini il lavoro. Un tratto specifico della contemporanea, poi, è questa costante interconnessione che ci espone di continuo agli altri e che sembra eliminare ogni privacy. In realtà, credo che qui si tratti soprattutto di un processo di apprendimento ancora agli Inizi, Dobbiamo meglio capire in che maniera possiamo utilizzare i social media e come possiamo trarre beneficio dalla loro esistenza pagando un prezzo contenuto.

Chi si rivela vincente nel lungo periodo?
Oggi più che mai per restare sul mercato c’è bisogno di flessibilità, creatività, coraggio. Se in passato i cambiamenti erano relativamente lenti e si poteva quasi illudersi che “il denaro produce denaro , oggi nessuno può davvero farsi rentier. Esiste senza dubbio una gronde fetta dell’economia (quella pubblico) che vive di redistribuzione e si sottrae a ogni verifica di mercato, ma se c’interroghiamo sull’universo degli imprenditori, e non su quello politico-economico ‘misto” degli incarichi, degli appalti e delle prebende, dobbiamo assolutamente rilevare come il primo errore da non commettere è quello di gestire l’esistente e immaginare che vi siano posizione acquisite una volta per sempre.

Come continuare ad attrarre Investitori e consumatori?
Lo stessa incertezza genera una domanda simile. Nei secoli passati, Il business delle assicurazioni sorse proprio per ridurre tale sentimento. C’è poi chi continua a essere ottimista ed enfatizza un dato cruciale: la grande esplosione economica e civile di quel Terzo mondo che ormai è uscito dalla miseria e sta progressivamente Incrementando domanda e offerta. Il successo formidabile di molte realtà economiche (dalla Cina all’India, alla Turchia ecc.) è in grado di offrire interessanti opportunità. Bisogna sottolineare che entriamo in un mondo ad altissima mobilità: se in Europa verranno meno le condizioni per investire e crolleranno le condizioni di vita, molti si sposteranno altrove e realizzeranno lì i loro progetti.

Una via d’uscita è possibile?
C’è bisogno di più responsabilità e, in questo senso, bisogna sempre tenere a mente che l’espansione dello spazio pubblico-statale si accompagna costantemente a un venir meno della responsabilità personale. Non abbiamo bisogno di un nuovo moralismo, né, tantomeno, di una risibile contrapposizione oggi così di moda tra onesti e disonesti, tra puri e impuri. In ognuno di noi vi possono essere tratti positivi e negativi: istituzioni che tutelano il diritto di proprietà e garantiscono io libertà d’iniziativa pongono le premesse perché ognuno dia il meglio di sé. In linea di massima, occorre imparare a convivere con il rischio e bisogna soprattutto accettare gli sbagli e le conseguenze che ne derivano. Con il rivelarsi della crisi dei subprime, tutti i governi si sono preoccupati di salvare le grandi banche in difficoltà, ma questo non ha posto fine a quei comportamenti irresponsabili che erano all’origine del problema. Gli istituti di credito, come le aziende, talvolta fanno sbagli e devono pagarne le conseguenze. E in presenza di una situazione insostenibile, devono andare In rovina anche le città, le regioni e perfino gli Stati, se non si vuole che una loro sopravvivenza artificiale non metta a rischio il destino dell’intera società.

Da Business people, dicembre 2016

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