Cosa insegna la liberalizzazione dell'energia elettrica e del gas

In Italia le liberalizzazioni sono considerate riforme di lungo periodo nel senso che verranno realmente attuate in un futuro lontano

11 Aprile 2017

IBL

Argomenti / Ambiente e Energia Politiche pubbliche

Non fare oggi quello che puoi rimandare a domani. La vicenda delle liberalizzazioni in Italia s’ispira a questo rovesciamento della saggezza popolare.

L’ultimo caso, in ordine di tempo, è l’annunciato (ed ennesimo) rinvio della piena liberalizzazione dei mercati retail dell’energia elettrica e del gas, previsto dal Ddl Concorrenza. Inizialmente previsto per il 1 gennaio 2018, era già stato rinviato al 1 luglio dello stesso anno in ragione dei ritardi accumulati lungo l’iter del provvedimento, che ancora giace al Senato. Adesso si parla di un ulteriore slittamento di un anno, al 1 luglio 2019.

Si tratta di una scelta francamente incomprensibile. I consumatori elettrici sono liberi di scegliere il proprio fornitore dal 2007, quelli del gas addirittura dal 2003. Si tratta ora di rimuovere i regimi di “tutela”, in virtù dei quali i clienti che non abbiano individuato il loro venditore sono comunque riforniti a condizioni fissate dall’Autorità per l’energia. E’ evidente che l’attuale assetto ibrido, che peraltro è definito “transitorio” dalla stessa legge che lo istituisce, rappresenta, fin dal nome, un enorme freno alla concorrenza, se non altro perché trasmette un forte senso di sfiducia nel libero mercato (che, evidentemente, implicherebbe “minori tutele”).

La storia del Ddl Concorrenza, che durante il suo percorso ha perso alcune buone norme e ne ha imbarcate altre anticoncorrenziali, in parte spiega l’allungamento dei tempi della liberalizzazione energetica, che prevede comunque una serie di provvedimenti attuativi. Ma spingere il traguardo addirittura avanti di un anno appare come un tentativo di smarcarsi dall’impegno ad allineare la regolamentazione del mercato elettrico agli standard dei Paesi europei.

Le liberalizzazioni hanno bisogno di tempo: sono pensate per sortire i loro effetti nel lungo periodo. In Italia sono considerate invece riforme di lungo periodo nel senso che solo nel lungo periodo andranno effettivamente attuate. Interventi piccoli o grandi che potrebbero avere un effetto sull’efficienza del nostro sistema economico sono, nel migliore dei casi, declinati costantemente al futuro. E non perché il legislatore coltivi il giusto rispetto per le difficoltà dei consumatori nella tradizione: dal 2007 sono passati ormai dieci anni. Ma perché ogni cambiamento è considerato, anziché un’occasione di sviluppo, una minaccia a rendite e interessi consolidati. La crescita può attendere.

11 aprile 2017

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