Cosa significa nazionalismo

Esito di un percorso filosofico, non sentimento rozzo: la ricostruzione di Elie Kedourie

14 Dicembre 2021

Corriere della Sera

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Da anni il processo d’integrazione europea deve fare i conti con la forza reattiva rappresentata dai rigurgiti di nazionalismo presenti all’interno di alcuni Stati. «Nazionalismo», che oggi trova una nuova declinazione linguistica nel termine «sovranismo», è una parola utilizzata in senso dispregiativo dal pensiero progressista ed europeista per sottolineare il carattere regressivo delle pretese identitarie, in particolare di una certa destra. Tuttavia tale pensiero a volte non resiste dalla tentazione di perorare un progetto geopolitico ispirato al principio di autodeterminazione dei popoli, in quanto evocativo di lotte nazionali contro gli oppressori di turno. Si pensi al conflitto israelo-palestinese, alla questione curda e pure a una certa simpatia riservata all’indipendentismo catalano il cui leader, condannato da un regolare tribunale spagnolo, forse non a caso ha trovato asilo politico proprio nel Paese simbolo dell’Ue, il Belgio.

Questo bipolarismo normativo del nazionalismo rischia di confondere e distorcere l’analisi da una valutazione oggettiva della sua genesi, del suo significato e delle sue ricadute storiche. Un’affascinante e convincente ricostruzione storica e ideologica del fenomeno ci viene offerta dal filosofo politico Elie Kedourie nel libro Nazionalismo (Liberilibri), pubblicato originariamente in inglese nel 1960 e oggi tradotto in italiano da Alberto Mingardi, cui si deve pure un ampio e coinvolgente saggio introduttivo.

Kedourie nasce a Baghdad nel 1926, membro della comunità ebraica, al tempo dell’Impero ottomano numerosa, fiorente e convivente in armonia con le componenti sunnite, scite, curde e cristiane della città. Col crollo dell’Impero e l’avvento del panarabismo, sobillato dalle potenze occidentali illuse di farne uno strumento geopolitico a loro favore, Baghdad si svuota dei suoi ebrei i quali fuggono in Palestina, Europa, Usa. Kedourie sceglie Londra, si laurea in Storia e Politica alla London School of Economics dove in seguito diventa professore. A Londra si unisce ad un gruppo di intellettuali «conservatori», anche se il termine «conservatore» non va inteso nel suo caso come un atteggiamento scettico nei confronti del progresso dell’umanità ma piuttosto, spiega felicemente Mingardi, come un’«inclinazione» che comporta un continuo esercizio dialettico e di «reattività» in funzione dei piani rivali. Questo non significa che sia assente un preciso progetto politico che per Kedourie consiste nella costante lotta volta a «proteggere interessi dispersi nella società e preservare l’assetto pluralistico dalle intrusioni del potere». Kedourie muore nel 1992, non troppo prematuramente per non assistere al crollo dell’Urss.

Per Kedourie il nazionalismo non va relegato a un sentimento rozzo e inarticolato da sempre e ovunque latente nell’animo umano, ma è l’esito di un preciso percorso filosofico che lo erge dunque al rango di vera «dottrina». Rifiutando pure l’approccio marxista che lo vorrebbe quale «mero riflesso di particolari forze sociali ed economiche», la sua genesi per Kedourie affonda nella dottrina kantiana della legge morale interiore cui spetta in esclusiva il compito di giudicare e di giudicarsi. L’autolegislazione dell’io si converte dunque in autodeterminazione del soggetto in conformità con la sua natura più autentica. Questo richiede tuttavia un continuo innalzamento degli obiettivi perseguiti e dunque una continua lotta interiore per la propria autoaffermazione, lotta che, come sostengono i romantici, diventa lo scopo ultimo dell’agire umano, ossia da mezzo si converte in fine.

Col pensiero neo-kantiano – in particolare quello di Fichte – si fa strada l’idea che il potenziamento dell’autodeterminazione dell’io richieda un’espansione di quest’ultima a livello collettivo, ossia l’autodeterminazione della «nazione». Sorge tuttavia a questo punto il problema di individuare un criterio che permetta di catturare il concetto ancora vago di «nazione». Kedourie rintraccia tale criterio nell’omogeneità culturale, che a sua volta può essere razziale, religiosa e linguistica. Tuttavia, ispirandosi in particolare all’esperienza tedesca, per Kedourie è l’omogeneità linguistica quella che conferisce maggiore coesione e senso d’identificazione fra gli uomini. I confini degli Stati nazionali devono allora riprodurre quelli linguistici e la «lingua madre» deve venire preservata dalle sue contaminazioni che in quanto «imitazioni» si contrappongono all’«autentico». Non deve dunque stupire la rivendicazione romantica delle superiorità del tedesco dovuta al suo carattere «originale» rispetto alle lingue «derivate» come quelle neolatine, in particolare il tanto odiato francese.

Nasce in tal modo il concetto di «nazione» e la lotta per l’autodeterminazione da individuale si fa collettiva, di popolo. L’omogeneità culturale quale base del sentimento nazionale conduce pure ad una «politicizzazione» dell’arte e delle cultura, le quali devono ora essere messe al servizio della «causa nazionale». La stessa soggettività individuale viene subordinata all’appartenenza allo Stato, che diventa «organico»: l’individuo, al di fuori di quest’ultimo, non è più nulla, come una foglia recisa dal suo ramo. Come osserva Mingardi, a partire dal Settecento il nazionalismo si converte allora quale filo conduttore della storia europea: dalla Rivoluzione francese, al crollo degli Imperi, dalla marcia su Roma al Reich millenario, fino alla dissoluzione dell’Urss e alla guerra civile jugoslava.

Oggi, in piena turbo-globalizzazione, forse il criterio dell’omogeneità culturale è paradossalmente esteso a nuovi e inediti tratti identitari che tracciano nuove frontiere più labili e meno visibili, ma non per questo meno divisive. In questo senso, il concetto elastico e dinamico di nazionalismo proposto da Kedourie, aldilà di una sua velata nostalgia per i vecchi Imperi caratterizzati, secondo lui, da un maggiore cosmopolitismo e tolleranza, si rivela molto utile per cogliere alcuni aspetti cruciali dell’attualità.

dal Corriere della Sera, 14 dicembre 2021

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