Il costo dello smart working

I licenziamenti nel settore Big Tech sono una prima correzione di direzione, verso un futuro aperto a diverse possibilità

23 Gennaio 2023

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Economia e Mercato

Tocca ora anche a Google, che ha annunciato ben 12 mila licenziamenti. In precedenza analoghe decisioni erano state rese note da Microsoft (meno 10 mila), Amazon (meno 18 mila) e Meta (meno 11 mila). In poche parole, l’intero universo del big-tech sembra conoscere una rilevante contrazione alle cui origini ci possono essere varie spiegazioni. 

Uno dei motivi, con ogni probabilità, è da individuare nel fatto che l’inflazione ha raggiunto livelli assai alti e questo sta spingendo l’economia verso una flessione. Le misure adottate nella pandemia stanno producendo gli effetti previsti e anche quei settori – si pensi ad Amazon – che in un primo tempo avevano tratto vantaggio dall’impossibilità per chiunque di entrare in un negozio ora si trovano a pagare il conto del ritorno alla normalità. 

Oltre a ciò gli ultimi anni hanno abituato tanti lavoratori allo smart-work, con il risultato che non soltanto adesso è accettata l’idea di lavorare da dipendente pur restando a casa, ma in vari casi questo può tradursi pure in una riformulazione del rapporto di lavoro. Alcune aziende insomma «esternalizzano» una serie di compiti, trasformando il proprio vecchio dipendente in un collaboratore autonomo. 

In questa contrazione del numero dei lavoratori del big-tech è difficile dire quanto pesi questo o quel fattore. Senza dimenticare che i massicci investimenti nell’intelligenza artificiale stanno di sicuro modificando i sistemi di produzione, così che compiti precedentemente affidati al personale oggi sono svolti dai software. Sotto taluni aspetti quella che sembra annunciarsi è una prospettiva inquietante: come se ci si stesse dirigendo verso un mondo nel quale un numero sempre minore di persone lavorerà, mentre tutti gli altri saranno finanziati grazie a meccanismi mortificanti come il reddito di cittadinanza. Una società siffatta, in definitiva, sarebbe una società di schiavi o quanto meno di asserviti. 

Per fortuna quello che stiamo conoscendo è soltanto un passaggio. Se nei prossimi mesi vi saranno meno lavori disponibili nei colossi del big-tech, con ogni probabilità la manodopera in circolazione sarà attratta da altre prospettive. Come la Rivoluzione industriale non ha distrutto il lavoro ma l’ha soltanto «reinventato» (e certo avevano torto i luddisti, che distruggevano i macchinari nella convinzione di aiutare i ceti più deboli), analogamente è facile prevedere che in una società come la nostra, ormai dominata dall’artificiale, si riscoprirà sempre più la relazione faccia-a-faccia, la qualità del servizio alla persona, la specificità di ciò che è strettamente connesso a quella creatività che solo un individuo può offrire. 

Per sua natura il futuro è ignoto. Per questa ragione non è una buona cosa credere che negli anni a venire s’assisterà necessariamente al rafforzamento delle tendenze in atto. Anche tali licenziamenti, in fondo, possono essere letti come una prima correzione di direzione, verso un futuro aperto a diverse possibilità. 

da Il Giornale, 21 gennaio 2023

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