Il problema del costo sociale, Forte e il contributo al Nobel Coase

Le pubblicazioni e le intuizioni di Forte sono alla base della Public Choice e della Law & Economics

4 Gennaio 2022

Il Foglio

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Forte ci ha lasciati lo scorso 1 gennaio. Sembra di sentire ancora l’eco delle sue parole. Forte ha vissuto intensamente tre vite parallele: è stato uno studioso eclettico e geniale, un protagonista della vita politica della Prima Repubblica e un acuto commentatore dei fatti economici e politici nella Seconda. Se n’è andato come piaceva a lui: lavorando e scrivendo (l’ultimo editoriale sul Giornale è del 30 dicembre). Ha fatto in tempo a chiudere un saggio sull’economia della moda a quattro mani con Maria Luisa Trussardi, di prossima pubblicazione per Rubbettino (che alcuni anni fa ne ha anche pubblicato l’autobiografia, “A onor del vero”). La produzione scientifica di Forte è ampia e discontinua, sia negli anni, sia nei temi. La sua formazione principale, e forse il filone più duraturo nelle sue attività di ricerca, è quella della scienza delle finanze, che ha continuato a coltivare anche grazie a Cosimo Magazzino e agli altri allievi. Come ha ricordato Giuseppe De Filippi sul Foglio di ieri, c’è un continuo rimbalzo di questi temi nella sua attività pubblicistica.

Il suo contributo più importante, però, risale agli anni Cinquanta e Sessanta, durante la permanenza all’università della Virginia, quando ebbe modo di collaborare con Ronald Coase (premio Nobel per l’economia nel 1991) e Jim Buchanan (Nobel nel 1986). Forte giocò un ruolo cruciale non solo attraverso le sue pubblicazioni, ma soprattutto attraverso le sue intuizioni, che sono letteralmente alla base di quelle che oggi chiamiamo Public Choice (cioè l’impiego degli strumenti dell’economia per comprendere il processo politico) e Law & Economics (l’analisi del diritto con dell’economia).

Con Buchanan, Forte ha firmato un importante paper nel 1964 a proposito della teoria della tassazione. L’idea di fondo era che i sistemi fiscali non vanno studiati staticamente: i contribuenti sanno che le regole oggi in vigore resteranno valide, nel complesso, anche negli anni successivi, e si comportano di conseguenza. Questo fatto ha conseguenze: in particolare, rende le imposte indirette (relativamente meno distorsive) preferibili rispetto a quelle dirette. Quel lavoro aiuta a capire perché sia così difficile disegnare sistemi tributari autenticamente redistributivi, mentre ci sono ottime ragioni di efficienza economica per spostare la tassazione dai redditi alle cose (i consumi, l’inquinamento, ecc.) e affidare la funzione redistributiva alla spesa pubblica.

Nel 1967, Forte si concentra sul tema dei beni pubblici – cioè quei beni che hanno le caratteristiche di non escludibilità dal e non rivalità nel consumo, come la difesa nazionale o il clima. La sua tesi è che l’esistenza di beni pubblici può giustificare l’intervento pubblico, come era ed è comunemente accettato, ma tale intervento non deve necessariamente prendere la forma della produzione diretta dei beni pubblici da parte dello stato. Oggi può apparire scontato: infatti, la distinzione tra stato imprenditore e stato regolatore fa parte della nostra costituzione economica (nonostante le nostalgie sempre più accentuate). Ma mezzo secolo fa non era così.

La sua eredità scientifica forse più importante non sta però in un articolo pubblicato, ma in un’idea che è stata successivamente elaborata. Nel celebre paper del 1960 “The Problem of Social Cost”, che gli è valso il Nobel, Coase si interroga sulla regolazione delle esternalità. Egli critica ferocemente Arthur Pigou, che negli anni Venti aveva proposto l’utilizzo delle tasse per correggere i prezzi di mercato dei beni il cui processo produttivo implicava esternalità negative. Coase argomenta che le esternalità hanno sempre natura simmetrica: per questo, per esempio, non sempre è efficiente tassare chi produce l’inquinamento (in modo tale da impedire che la popolazione circostante sia danneggiata). In alcuni casi è meglio sussidiare l’inquinatore perché si doti di strumenti per minimizzare gli impatti ambientali (impedendo così che l’impresa stessa sia danneggiata dalle politiche “verdi”). “E’ davvero sconcertante – scrive Coase – che gli economisti (tranne il professor Forte) non abbiano notato questo aspetto del ragionamento di Pigou, in quanto se si fossero resi conto che il problema poteva essere affrontato in questi due modi avrebbe probabilmente condotto al riconoscimento esplicito della sua natura reciproca”.

Le parole di Coase sono forse un gesto cavalleresco attraverso cui lo studioso inglese ammette un debito intellettuale. Ma aiutano a cogliere un aspetto dell’intelligenza di Forte di cui è testimone chiunque abbia avuto la fortuna di avere a che fare con lui: Forte era uomo immensamente generoso nel condividere spunti e nel trarre, dalle osservazioni altrui, deduzioni controintuitive. Chiunque abbia avuto la fortuna e il privilegio di confrontarsi con lui ne è uscito più ricco. Forte parlava tanto, era letteralmente un fiume in piena: non di quelli che scavano la roccia e rendono il paesaggio selvaggio e violento, ma di quelli che rendono più fertili le sponde che bagnano. Riposi in pace.

da Il Foglio, 4 gennaio 2022

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