Le "cripto", il Mississippi e la normalizzazione forzata

Il crac di Ftx svela l'equivoco di un progetto che sembrava voler riportare nel sistema le valute alternative. Non è meglio il mercato?

19 Dicembre 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

Lo storico Harold James ha paragonato Sam Bankman-Fried, recentemente arrestato alle Bahamas e la piattaforma di trading di criptovalute Ftx al caso di John Law. Quest’ultimo riuscì a trasformare il sistema finanziario francese, sino alla drammatica crisi inflazionistica esplosa nel 1720. Innanzi all’alto debito francese, Law propose di «stimolare» l’economia sostituendo le monete di oro e argento con denaro cartaceo. Nel 1716 il governo gli consentì di aprire una banca che emettesse cartamoneta, che il governo avrebbe accettato come pagamento delle tasse.

Parallelamente, egli creò una società con uno scopo commerciale in senso proprio, la Mississippi company. All’azienda fu concesso il monopolio del commercio con le colonie francesi del Nord America e Law ne finanziò l’operatività emettendo azioni che potevano essere acquistate con la cartamoneta della banca di Law o con obbligazioni statali. Le azioni della Mississippi company divennero così attraenti per gli investitori che la società assunse l’intero debito nazionale francese. James sostiene che nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile se Law non avesse, almeno a parole, messo davanti al carro degli interessi privati i buoi dell’interesse pubblico. Iniziative di questo tipo, per avere successo, devono conquistare una patente di legittimità da parte della classe dominante.

Qualcosa di simile, suggerisce, ha fatto Sam Bankman-Fried. Del quale tutto si può dire tranne che fosse un «pirata» delle cripto. La sua impresa si era proposta, esattamente come Law, come un risolutore di problemi, in quel caso quelli legati a un mercato giovane, immaturo, comunque visto con sospetto da regolatori strutturalmente incapaci di accettare che valga il principio del caveat emptor (stia attento il compratore, il brocardo latino fa riferimento all’impossibilità di avvalersi della garanzia per vizi occulti se conosciuti o conoscibili da persone di media diligenza, ndr) e solo quello. Il presidente della Sec, Gary Gensler, sembrava abbastanza convinto che Ftx fosse il polo attorno al quale provare a consolidare il mondo cripto. Intanto Bankman-Fried spendeva qualcosa come 2 miliardi in «acquisizioni per scopi regolatori»: cioè per imbarcare imprese (come la LedgerX Llc, un trader in futures) che portavano in dote altrettante licenze per operare in questo o quell’ambito. Aveva acquisito il 10% di Iex Group, con l’accordo di arrivare a controllarlo in capo a un anno. Man mano che le ricostruzioni si fanno più precise, esce il profilo non di un giovane cow-boy del web ma di un abile navigatore del sistema.

Figlio di due professori universitari di diritto di Stanford, Bankman (cognome del padre) Fried (cognome della madre) era perfettamente allineato con tutte le mode culturali del momento. Era un campione di virtue signalling, abbracciando cause che l’hanno reso gradito all’establishment mediatico. Oggi sappiamo che le decisioni di investimento (o, meglio, di pura e semplice spesa) all’interno della sua impresa venivano prese a colpi di emoji via chat: non proprio quel che si immagina quando si pensa alle migliori pratiche di un colosso finanziario. Ma per lungo tempo Bankman-Fried è stato il volto «rispettabile» delle criptovalute: l’uomo che le avrebbe riportate all’interno di logiche più coerenti col mondo della finanza e con quello della politica. Le criptovalute dividono il mondo in ammiratori e denigratori.

La nascita di Bitcoin fu salutata da alcuni come una straordinaria innovazione: era una valuta «de-nazionalizzata», sorta sul mercato e proprio per questo legata a un meccanismo che assicurava la sua crescente scarsità, per convincere chi avrebbe dovuto usarla che l’inflazione non rappresentava un pericolo. Altri replicavano che può essere «denaro» soltanto qualcosa che i venditori accettano in cambio delle loro merci e dei loro servizi e che può essere usato per pagare le tasse. Dopo Bitcoin sono venute altre monete digitali, spesso utilizzate da giovani e giovanissimi, ma prive della caratteristica fondamentale del capostipite (che è digitale e scarso). Molti investitori hanno scommesso su iniziative che consentissero un utilizzo della blockchain (il «registro digitale diffuso» utilizzato per confermare i diritti di proprietà sui Bitcoin) indipendente dalla valuta digitale inventata dal misterioso Satoshi Nakamoto. Per ora gli esiti sono modesti.

Col tempo (il primo Bitcoin è stato «estratto» nel 2009) anche i grandi intermediari finanziari si sono interessati alle valute digitali e in molti hanno sostenuto che una frazione, per quanto minima, delle risorse andasse investita in tal modo. A Chicago, ha aperto un mercato dei futures su Bitcoin per molti, una iniziativa prematura. Con il fallimento di Ftx, la storia delle «cripto» sembra giunta a una svolta secondo alcuni, al capolinea. Negli anni scorsi, l’idea che esse fossero «valute», cioè mezzi di scambio, è andata sempre più ridimensionandosi. Ora sono considerate asset. Essendo risorse di tipo nuovo, il mercato è stato impegnato in un vorticoso processo di scoperta dei prezzi, che ha visto grandi oscillazioni in corrispondenza dei momenti di maggiore entusiasmo e di maggior scetticismo. Dello scetticismo delle élite ha tratto profitto Bankman-Fried, che doveva esserne il nocchiero in un mondo a loro ignoto.

Non sappiamo a priori se le innovazioni siano buone o cattive. Per questo sarebbe auspicabile che le novità si sviluppassero protette dall’influenza impropria di chi appartiene ad altri mondi. Meglio un mercato davvero libero, nel quale ciascuno è responsabile delle sue perdite, soprattutto quando abbiamo a che fare con oggetti che ancora non abbiamo messo a fuoco. L’ansia di «normalizzarli» può provocare disastri. Il crac di Ftx per ora non ha avuto ripercussioni sistemiche, ma solo in ambito «cripto». Il vecchio principio del caveat emptor meriterebbe d’essere preso più sul serio.

da L’Economia-Corriere della Sera, 19 dicembre 2022

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