Parlando al Congresso, il Presidente Trump ha abbracciato la teoria dei «dazi reciproci». Per una questione di «equità», gli Stati Uniti tasseranno le merci provenienti da un certo Paese nella stessa misura in cui quel Paese tassa i beni provenienti dagli Usa. E’ una specie di «riarmo bilaterale». Come con l’industria degli armamenti, non è impossibile che si inneschi un’escalation. Purtroppo, che le relazioni fra Paesi debbano essere improntate a una qualche reciprocità è un’idea di senso comune.
Ma non è un’idea di buon senso, se si parla di scambi economici. Questi ultimi non si svolgono fra Stati, ma fra persone e imprese che capita si trovino nel territorio di uno Stato o di un altro. Un’impiegata di banca non fa la spesa dal fruttivendolo perché spera che quest’ultimo un bel giorno apra un conto nella sua filiale, un cantante lirico non compra dal macellaio affinché questi possa andare all’opera. Non è la reciprocità il fine di chi acquista e neppure quello di chi vende.
Il commercio internazionale è internazionale ma è pure commercio. La logica del commercio è quella delle convenienze: accaparrarci ciò che vogliamo, al prezzo inferiore possibile. L’ossessione dei tempi è quella di «politicizzare» lo scambio, di subordinarlo ad affinità politiche. Immaginate di fare i vostri acquisti pensando non a ciò che vi serve, ma alle caratteristiche personali di chi ve lo vende. Pensate se doveste basarvi su queste ultime, per le vostre decisioni di spesa. Fa piacere prendere il caffè da un barista simpatico, se ce lo fa pagare come un bicchiere di champagne ci diventa meno simpatico. Gli americani non acquistano Tequila dai messicani per amore di questi ultimi: ma perché ne vogliono bere.
Alzare i dazi renderà solo più costoso quel particolare consumo. Strano sovranismo, quello che delega ad altri la politica doganale: «ti tasso perché mi tassi tu». Formula efficace ma imprecisa. Quella corretta è: mi tasso perché ti tassi tu. L’ismo giusto sarebbe: masochismo.