26 Gennaio 2023
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
In questi giorni gli Stati Uniti sono alle prese con seri problemi di bilancio, dato il debito pubblico (ormai intorno ai 30 mila miliardi di dollari) ha raggiunto il tetto fissato per legge, oltre il quale non può crescere.
Di conseguenza, come ha annunciato il segretario del tesoro Janet Yellen, dovranno essere prese misure eccezionali per evitare il default. Ovviamente in questo inizio di 2023 non stiamo assistendo al fallimento in senso tecnico delle istituzioni pubbliche della prima potenza mondiale, ma soltanto perché come già in passato (ben 22 volte nell’ultimo quarto di secolo) quel tetto verrà in qualche modo innalzato. Dopo avere accumulato un debito monstre, anche se in rapporto al Pil è molto inferiore al nostro, gli Stati Uniti si apprestano a fare ancora peggio.
Com’è evidente, la questione del debito sta diventando cruciale in numerosi contesti e in questo senso può essere utile sviluppare qualche considerazione sulla tendenza degli apparati statali a indebitarsi: una tendenza che per certi aspetti appare inarrestabile.
Già a fine Ottocento alcuni studiosi (Vilfredo Pareto, in particolare) avevano previsto questo esito. In effetti, l’indebitamento è la lineare conseguenza del fatto che, per la classe politica, è molto più semplice e razionale finanziarsi moltiplicando i titoli di Stato (e al tempo stesso inflazionando la moneta) invece che sottraendo risorse ai cittadini-elettori con le imposte. Nessun politico realista, desideroso di essere rieletto, preferirà tassare invece che indebitare il Paese.
D’altro canto, molti nutrono la convinzione che lo Stato sia un’entità quasi onnipotente. Quale problema, allora, nell’aumentare del 10% l’esposizione debitoria? Quanti prestano soldi agli Stati ritengono di metterli in cassaforte, mentre chi gestisce gli affari pubblici sembra credere che il credito degli Stati sia illimitato, in ragione del loro poter sempre finanziarsi grazie ai tributi.
In realtà, ovviamente, alla fine i nodi vengono al pettine e le nuove generazioni devono pagare gli interessi sul debito. C’è pure da chiedersi quanto sia legittimo che una generazione viva al di sopra delle proprie possibilità e un’altra sia costretta a tirare la cinghia per responsabilità che non sono sue.
In questa fase di recessione generale, con le stesse potenze del big tech (da Amazon a Meta, da Google a Microsoft) che licenziano decine di migliaia di dipendenti, bisognerebbe allora iniziare a mettere in discussione questa costante aggressione ai diritti e agli interessi dei giovani.
In linea di massima, infatti, è moralmente inaccettabile che qualcuno s’indebiti per altri, ma questo principio sembra del tutto dimenticato ogni qualvolta è tirato in ballo lo Stato, quasi si trattasse di un’entità che non avrebbe nulla a che fare con le regole della vita ordinaria.
In verità, come tanti storici hanno mostrato, le civiltà crollano quasi sempre a seguito del dilatarsi della spesa pubblica, dell’aumento del numero dei dipendenti pubblici, dell’indebitamento. Anche oltre Atlantico dovrebbero riflettere seriamente su tutto ciò, dato che dopo la crisi in corso potrebbe esserci qualcosa di molto peggio.
Da La Provincia, 26 gennaio 2023