L’iniziativa dell’Istituto Bruno Leoni di pubblicare l’orologio del debito nelle stazioni di Milano e Roma ha suscitato svariate reazioni.
Quelle che vogliamo prendere più sul serio sono le critiche.
Le principali di esse dipendono dalla convinzione, sempre più diffusa tra i cosiddetti sovranisti, che il debito è un falso problema. Le argomentazioni sono di due tipi.
Secondo la prima, poiché al debito dello Stato corrisponde un credito da parte di coloro che ne hanno comprato i titoli, basterebbe compensare debito e credito per risolvere il problema.
Proviamo a ragionarci un po’. Questi creditori sono per quasi il 30% risparmiatori italiani (direttamente o tramite fondi comuni e simili). Se lo Stato cancella il proprio debito verso di loro, essi vedranno vanificati i propri risparmi, per un ammontare pari a circa 600 miliardi. Sarebbe come una gigantesca imposta patrimoniale, che colpirebbe proprio quei risparmiatori italiani che hanno avuto fiducia nello Stato. Non può sfuggire la profonda ingiustizia di una tale misura. E neanche ne possono sfuggire i catastrofici effetti economici: visti vanificati i propri risparmi, quei cittadini si vedrebbero costretti a restringere drasticamente i propri consumi; sarebbero cioè ridotti in miseria, e si registrerebbe una caduta della attività economica di effetto inimmaginabile sulla occupazione, e quindi sui redditi degli italiani non colpiti direttamente.
Altri creditori verso lo Stato sono banche nazionali, anch’esse per circa 600 miliardi. Se lo Stato cancellasse il proprio debito verso di loro, esse andrebbero incontro a gravissime perdite, che le costringerebbero al fallimento; non sarebbero in grado di rimborsare i depositanti, che vedrebbero vanificati i propri risparmi, con le conseguenze di cui si è detto.
Per la parte residua (esclusa la Banca d’Italia), i creditori verso lo Stato sono stranieri. E’ evidente che se lo Stato cancellasse il debito verso di loro, non potrebbe più presentarsi sul mercato a chieder nuovi prestiti per un lunghissimo periodo di tempo.
La strada della “compensazione” fra debiti dello Stato e crediti di chi detiene i titoli, è semplicemente distruttiva nei confronti dell’economia nazionale.
La seconda argomentazione di chi sostiene che il debito pubblico non è un problema fa conto sul “recupero di sovranità monetaria”; in altre parole, sull’uscita dall’euro. In sostanza, il debito verrebbe convertito in nuove lire, che la banca centrale fornirebbe al Tesoro in misura sufficiente a rimborsare il debito.
A nessuno sfugge come la decisione dell’Italia di tornare a una moneta nazionale alimenterebbe le aspettative di svalutazione, facendo perdere velocemente valore alla nuova moneta. Ma qui non si parla di aspettative: immediatamente il mercato verrebbe inondato dalla nuova valuta, per un importo pari a circa dieci volte la circolazione attuale di euro nella nostra economia. Una tale abbondanza di moneta ne ridurrebbe drasticamente il valore: distruggendo immediatamente il risparmio degli italiani, e colpendo tragicamente tutti coloro che vivono di stipendi e pensioni, il cui importo tarderebbe ad aggiornarsi al nuovo valore della moneta. Un disastro economico di dimensioni inimmaginabili, che colpirebbe milioni di persone riducendole in povertà.
Ci sono opinioni e ci sono fatti. Le conseguenze appena descritte sono fatti. Rimuovere il problema del debito dal dibattito pubblico non vuol dire avere un’opinione differente, ma rimuovere un fatto.
Le pretese soluzioni proposte dai “sovranisti” condurrebbero al tracollo dell’economia nazionale e ridurrebbero alla miseria milioni di italiani. Purtroppo è un fatto, non un’opinione.
20 febbraio 2018